Dopo le ultime interviste, c’è chi esalta i dettagli delle parole di Francesco senza accogliere il tutto. Ma anche chi, vicino o dentro alla Chiesa, rafforza la critica al PonteficeHa scritto Alberto Melloni sul Corriere della Sera (3 ottobre): "Il ministero di Francesco sta esercitando su tutti una funzione maieutica: fa affiorare la gioia degli infelici, la diffidenza dei diffidenti, il narcisismo dei narcisisti, l'opportunismo degli opportunisti, il dolore dei dolenti, la sete di comunione degli esclusi, la speranza di chi l'ha perduta, la fede di chi vedeva un lumino dalla fiamma smorta in fondo alla propria esistenza e non sapeva dargli un nome".
La forza comunicativa e la disponibilità di Papa Francesco sono il motore di questo “effetto tornasole” a tutto tondo. Non a caso, secondo una ricerca dell’Istituto Toniolo, l'83,6 % dei giovani intervistati “sostiene che le parole scelte dal Papa sono adatte al mondo contemporaneo, capaci cioè di raggiungere il cuore delle persone” (VaticanInsider, 2 ottobre). D’altro canto, proprio negli ultimi giorni, dopo le interviste rilasciate a La Civiltà cattolica e a Eugenio Scalfari su La Repubblica, “la diffidenza dei diffidenti”, già in fieri, si sta pienamente manifestando.
Per il sociologo delle religioni Pietro De Marco, che argomenta una dettagliata censura, l’eloquio del Papa “di fronte alla stampa e al mondo” cade in “reiterate approssimazioni”, non accettabili. Secondo De Marco “il papa piace a destra e a sinistra, a praticanti e a non credenti, senza discernimento. Il suo messaggio prevalente è ‘liquido’. Su questo ‘successo’, però, non può essere edificato niente, solo reimpastato qualcosa di già esistente, e non il meglio” (Settimo Cielo, 3 ottobre).
In un simbolico confronto tra le uscite di Papa Francesco e la lettera di Benedetto XVI all’altro “campione laicista” Odifreddi, il vaticanista de L’Espresso, Sandro Magister, nello stesso giorno in cui ha ripubblicato proprio il testo di De Marco, sottolinea la differenza di stile e di argomentazioni che secondo lui c’è tra Benedetto XVI e Francesco, che “ha svelato il vero programma del suo pontificato”. Per Magister “il segreto della popolarità di Francesco è nella generosità con cui si concede alle attese della ‘cultura moderna’ e nell'accortezza con cui schiva ciò che possa diventare segno di contraddizione”; e si interroga sul fatto che Papa Francesco “si mostra convinto che valga di più rispondere alle sfide del presente col semplice annuncio del Dio misericordioso” (www.chiesa, 3 ottobre).
Quindi, nonostante la lettura che rappresenta con allarme un Papa Francesco ciecamente adorato da tutti, nella realtà non è affatto così. Sembra ufficialmente aperto, dentro e fuori la Chiesa, un dibattito paradossale sul fatto che il Papa sia cattolico o meno, per parafrasare una delle espressioni di Papa Francesco che più hanno colpito. Francesco dice infatti a Scalfari che lo intervista: “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la luce e il Creatore”. Un’immagine provocatoria e insolita, ma in linea con una predicazione costante che, come ha più volte invitato anche papa Ratzinger, riporta Gesù Cristo al centro dell’attenzione e mette in guardia dal clericalismo e dalla esclusività dogmatica, giuridica e moralistica della testimonianza cristiana. La stessa immagine l’aveva usata negli anni recenti il card. Carlo Maria Martini nelle sue “Conversazioni notturne” con Georg Sporschill. Testo allora fieramente criticato dallo stesso Pietro De Marco, sempre ospite di Magister: “Mi preoccupa il passaggio in cui Martini dice: ‘Gli uomini si allontanano dai […] dieci comandamenti e si costruiscono una propria religione; questo rischio esiste anche per noi. Non puoi rendere Dio cattolico. Dio è al di là dei limiti e delle definizioni che noi stabiliamo. Nella vita ne abbiamo bisogno, è ovvio, ma non dobbiamo confonderli con Dio’…” (www.chiesa, 12 novembre 2008).
A forza di preoccuparsi dell’autorevolezza del Papa, però, si corre il rischio di non leggere e non accogliere quello che è solo un ribaltamento di prospettiva dell’azione missionaria verso il mondo. Che non cancella affatto parti di dottrina e magistero ma pone le condizioni per renderle più “prossime” e credibili.