In una nota pastorale monsignor Giuseppe Fiorini Morosini affronta la piaga del femminicidio"DONNE, nessuno può costringervi ad essere martiri nel sopportare in silenzio la violenza che subite". Trovate "il coraggio di denunciarla", perché lì, dove non arriva la forza della convinzione e della ragione, "deve essere messa in atto la forza coercitiva e punitiva della legge". Si rivolge direttamente alle mogli, fidanzate, madri, figlie e sorelle il neo arcivescovo di Reggio Calabria, monsignor Giuseppe Fiorini Morosini, in una nota pastorale che affronta di petto la piaga del femminicidio. Solo qualche mese fa, stavolta dalla cattedra di Locri, l'ex superiore dell'Ordine dei minimi aveva lanciato un appello analogo, a riprova di una spiccata sensibilità del religioso nei confronti di un dramma tristemente diffuso anche in Calabria.
"L'UOMO non è il padrone della donna, sia essa la moglie, la figlia, la sorella o la fidanzata. Non ho aggiunto la mamma, ma esistono anche casi di figli che alzano le mani contro i propri genitori. Le donne vanno amate e rispettate", scrive Morosini nel documento che oggi è stato letto in tutte le parrocchie reggine durante la messa. L'arcivescovo sa bene che non basta uno scritto per arrestare la spirale di violenza. Serve un impegno costante, quotidiano, corale di preti, operatori parrocchiali, docenti per cambiare in profondità abitudini e sottoculture: "Esorto parroci, catechisti ed insegnanti di religione a non tacere e ad inserire il rispetto della donna tra i temi di educazione morale. Non possiamo negare che, purtroppo, parte di tale violenza è il frutto della concezione della donna-oggetto, tipica di una cultura troppo eroticizzata". Per questo, "invitiamo non solo a protestare contro tale violenza", ma a riflettere anche "sulla liberalizzazione della pornografia".
LA RIDUZIONE di Eva ad oggetto è una delle ragioni alla base del femminicidio. Non l'unica, tanto che Morosini non esita a farsi largo tra le logiche domestiche per scovare un'altra miccia della violenza. "Va superata – prosegue – la mentalità che la donna si realizza solo nel matrimonio e nel lavoro casalingo; da qui la pretesa della totale dipendenza dall'uomo, che la considera sua legittima proprietà, perché è lui a guadagnare per la famiglia". I rapporti tra l'uomo e la donna nelle nozze "sono alla pari" e la vita in famiglia "va affrontata nel dialogo". Di più, "l'uomo non può esigere fedeltà dalla propria moglie e lui concedersi le libertà che vuole". Scendendo senza reticenze nella casistica più odiosa, per l'arcivescovo "picchiare una donna è una violenza riprovevole, perché è un'azione del più forte nei confronti del più debole. I mariti, i fratelli, i fidanzati non possono concedersi il lusso di andare nei bar a giocare, ubriacarsi e poi tornare a casa ed aggredire le proprie donne". L'eguaglianza e la libertà dei generi va insegnata già in famiglia. Da qui l'appello di Morosini ai genitori reggini: "Nel processo educativo educate alla libertà i vostri figli: non fate distinzione tra maschi e femmine".
PAROLE, quest'ultime, che sembrano intercettare le critiche mosse da Francesca Chaouqui alla sua terra d'origine, la Calabria. Membro della commissione voluta da papa Francesco per indagare sugli apparati economici della Curia romana, la trentenne di Corigliano (Cosenza), all'indomani dell'uccisione della sedicenne Fabiana Luzzi nella cittadina ionica, aveva scritto una lettera aperta molto netta, pubblicata sul Corriere della sera. "Dalle nostre parti – denunciava la Chaouqui – si fa voto a San Francesco di Paola per avere un maschio, in Calabria tutte le donne vogliono un figlio maschio, ancora oggi. Se nasci femmina, la tua stessa venuta al mondo disattende la volontà di chi dovrebbe amarti incondizionatamente". Uno sfogo che non piacque all'arcivescovo di Rossano-Cariati, la diocesi nella quale si consumò la tragedia. Così, sempre sul Corriere della sera, monsignor Santo Marcianò prese le distanze dalla pr: "Non conosco Francesca Chaouqui, né so quanto ella ha nel cuore e quale sia la sua esperienza che in ogni caso rispetto. Ma non riconosco nelle sue parole quella che a me pare la verità profonda di questa terra e della sua gente». Correva il mese di maggio. Ora, a distanza di tempo da quel botta e risposta, a Reggio calabria un altro vescovo esprime una posizione quantomeno più sfumato.
CHIAMATO a Locri nel 2008 da papa Benedetto XVI al posto di padre Giancarlo Bregantini, Morosini ha proseguito sulla via della lotta all'ndrangheta, inaugurata dal suo predecessore. Tre anni fa, con una lettera aperta ai boss, stigmatizzò le riunioni criminose che si svolgevano nel santuario di Polsi. Più tardi spronò gli stessi malavitosi a convertirsi. Ma il suo è stato anche un ministero attento alle questioni di frontiera. Pur bocciando i matrimoni fra persone dello stesso sesso, Morosini ha esitato a manifestare il proprio appoggio ai progetti di legge sulle unioni omosessuali. Approdato a luglio sulla cattedra di Reggio calabria, nell'arcidiocesi dello stretto il religioso sta confermando il suo ruolo di apripista contro il femminicidio. A parte qualche inciso del presidente Angelo Bagnasco nelle ultime prolusioni, quella di Morosini è infatti l'unica voce nell'episcopato che ha stigmatizzato la nuova, vecchia piaga del machismo italiano. Senza bizantinismi inutili, con parole precise e documenti ad hoc.