Da qualche giorno, il Comitato centrale della Federazione nazionale degli Ordini dei medici ha proposta alle varie federazioni locali un nuovo codice deontologico.
di Giorgio Maria Carbone
I vari Consigli provinciali dell’Ordine dei medici in questi giorni stanno esaminando e votando la proposta di un nuovo codice deontologico. Esaminiamo anche noi solo alcuni articoli per comprendere qual è la posta in gioco. Lo faremo documentandoci, cioè confrontando il testo vigente con il testo proposto.
L’obiezione di coscienza del medico «Testo vigente Art. 22, Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica. Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».
«Testo proposto Art. 22, Rifiuto di prestazione professionale. Il rifiuto di prestazione professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è consentito al medico quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici, a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita. Il medico deve comunque fornire ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione dei servizi esigibili e a questo fine collabora con le aziende sanitarie».
Per brevità faccio solo tre osservazioni critiche: 1) se il rifiuto della prestazione sanitaria causa nocumento alla salute dell’assistito, si rientra nella fattispecie di omissione di soccorso, disciplinata dal Codice penale. Quindi è inutile la frase «a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita». Ma viene da pensare che tale frase serva ad altri scopi. 2) Il testo proposto nel 2013 specifica il fine dell’informazione «consentire la fruizione dei servizi esigibili e a questo fine collabora con le aziende sanitarie». Molto meglio il testo vigente, che lascia libertà al medico: questi informa e chiarisce, ma non in funzione di far fruire dei servizi. Facciamo il caso che si tratti della prescrizione del Levonorgestrel o della RU486 (due prodotti chimici abortivi), il testo vigente dice il medico informa e chiarisce perché non prescrive e somministra il prodotto chimico, mentre il testo proposto dice che l’informazione e il chiarimento del medico deve avere come scopo la fruizione del servizio (quindi nell’esempio la somministrazione del prodotto chimico che non è un salva-vita) al quale il medico è contrario in ragione della sua scienza e coscienza. In questo caso il medico dando tali informazioni e chiarimenti che hanno come fine oggettivo la fruizione del servizio, diventa formalmente complice del servizio, cioè della somministrazione o erogazione, alla quale egli è contrario. È così lesa la sua autonomia e libertà professionale, richiamata continuamente dal testo proposto nel 2013 a partire dall’art. 2. 3) Inoltre, il testo proposto dice «a questo fine collabora con le aziende sanitarie». Che necessità ha questa frase? Non collabora già? Oppure significa «il medico deve segnalare in quale struttura della Asl è erogato il servizio a cui lui è contrario»? Di nuovo sorge la complicità formale e quindi la lesione dell’autonomia professionale del medico.
Tener conto delle volontà del paziente o le dichiarazioni anticipate di trattamento? «Testo vigente Art. 36, Assistenza d’urgenza. Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle volontà della persona se espresse, il medico deve attivarsi per assicurare l’assistenza indispensabile». «Testo proposto Art. 36, Assistenza d’urgenza. Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se espresse, il medico si attiva per assicurare l’assistenza indispensabile».
I due testi sembrano uguali, ma in realtà non lo sono. Così come «tener conto delle volontà del paziente» sembra essere la stessa cosa delle «dichiarazioni anticipate di trattamento», ma in realtà non lo sono. Il testo proposto fa riferimento alle «dichiarazioni anticipate di trattamento» che non hanno alcun rilievo nel nostro ordinamento giuridico. Meglio dire con il testo vigente «tenendo conto delle volontà della persona se espresse» che è una eco della Convenzione di Oviedo del 1998, ratificata con Legge della Repubblica, nella quale è detto che «il medico tiene conto delle volontà espresse del paziente». Il riferimento alle «dichiarazioni anticipate di trattamento» è particolarmente grave perché attraverso lo strumento del codice deontologico si vuole introdurre un istituto giuridico, cioè le dichiarazioni anticipate di trattamento, che la scorsa legislatura non votò in via definitiva. Quindi, attraverso un documento normativo di una federazione professionale sarebbe introdotta una realtà che è di competenza del parlamento: il che mi sembra particolarmente grave.
Inoltre, si consideri che:
1) le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono espressione del consenso informato perché manca l’attualità o contestualità tra il momento in cui io paziente esprimo la volontà e il momento in cui insorge la patologia;
2) il testo proposto all’art. 38 dice in sostanza che le dichiarazioni si applicano «in caso di perdita di coscienza di sé totale e irreversibile». Ora la perdita di coscienza totale e irreversibile si ha solo nella condizione di assenza di attività elettrica dell’encefalo: questa è l’unica condizione di irreversibilità, tale condizione è la morte accertata mediante elettroencefalogramma.
Paziente o assistito?
L’art. 6 e in generale tutto il testo proposto privilegia l’uso dell’espressione «persona assistita» e non più «paziente». Le parole segnalano esternamente le idee: la persona-assistita può essere non affetta da alcuna patologia. Mentre dire “persona-paziente” comporta il fatto che tale persona abbia o sospetti di avere una patologia. È forse in atto uno slittamento della professione e dell’arte medica: dal guarire e curare il paziente, stiamo passando «assistere il cliente», a «fornire una prestazione a chi la chiede anche non in presenza di una patologia», un cliente appunto.
Da professionista che agisce in scienza e coscienza a esecutore-operatore
Da queste sommarie osservazioni sulle proposte relative alla erosione dell’obiezione di coscienza e all’introduzione delle dichiarazioni anticipate di trattamento, contenute negli artt. 22, 36-38, possiamo concludere che la bozza proposta del codice deontologico opera, quasi surrettiziamente, una trasformazione radicale dell’identità del medico. In ragione del codice deontologico oggi vigente il medico è un professionista che agisce in scienza e coscienza e che dal punto di vista del diritto civile ha un’obbligazione di mezzi, cioè si impegna con il paziente (non con il cliente) a mettere in campo tutti i mezzi perché si ottenga il risultato sperato, cioè guarigione, cura o assistenza sanitaria. L’obbligazione di mezzi è la stessa tipologia di obbligazione che ha un avvocato o un consulente.
Ai sensi del testo proposto, invece, il medico diventerebbe un operatore che dal punto di vista del diritto civile ha un’obbligazione di risultat
o, cioè si impegna con la controparte, detta “assistito” (quindi non più necessariamente paziente) per garantire il risultato. L’obbligazione di risultato è la stessa tipologia di obbligazione che ha un venditore di pane o di giornali: a fronte del pagamento dell’importo si obbliga a darmi il prodotto.
Obbligarsi a garantire il risultato, oltre ad essere un’utopia o un’illusione (dipende dai punti di vista), realizza anche lo stravolgimento dell’identità del medico: da professionista a esecutore delle volontà del cliente. Quindi, la posta in gioco nell’esame e nel voto della proposta del nuovo codice deontologico medico è alta, molto alta: l’identità stessa del medico.