Storia e attualità si intrecciano nella partita mediorientale e negli equilibri del mondo arabo
"L’Egitto del dopo-Morsi potrebbe diventare il primo Paese musulmano al mondo a riconoscere come “genocidio” lo sterminio degli Armeni, compiuto a partire dal 24 aprile 1915 dal governo turco nelle terre dell’allora impero ottomano. Questo potrebbe avvenire in seguito al passo, senza precedenti, compiuto da un avvocato egiziano, Muhammad Saad Khairallah, direttore dell’Istituto del Fronte Popolare in Egitto, che ha presentato una richiesta giudiziaria in tale senso. La prima udienza storica di questo processo si terrà davanti al Tribunale del Cairo il 5 novembre 2013". La notizia riportatata da Vatican Insider (15 settembre), come suggerisce lo stesso articolo, deve essere letta oltre la semplice valenza di fatto storico. Aleteia ne ha parlato con Giuseppe Caffulli, direttore della rivista Terra Santa della Custodia francescana ed esperto di questioni mediorientali.
Quali possono essere le implicazioni di questo annuncio?
Caffulli: Se l'Egitto decide di aprire una riflessione e un dibattito sulla questione del genocidio armeno all'interno del vasto mondo dei musulmani sunniti, questo è un fatto senz'altro positivo perchè si tratta di una pagina di storia straordinariamente significativa anche per il mondo arabo musulmano. L'importante è che questo non avvenga in funzione "anti" qualcuno, perchè l'argomento è un tasto dolente sotto molti aspetti. All'interno della società turca che non ha mai fatto i conti con questo passato ingombrante, ma anche all'interno di Israele, sensibile all'equiparazione tra la propria tragica storia e quella di altri popoli.
Perchè avviare questa iniziativa adesso?
Caffulli: Forse è questa la domanda fondamentale. Ho avuto modo di incontrare in Egitto diversi cristiani armeni, discendenti da coloro che all'epoca del massacro – negli anni '15 del Novecento – trovarono il modo di rifugiarsi nel Paese e anche affermarsi in una città cosmopolita come Il Cairo, ma si tratta comunque solo di alcune centinaia di persone. Abbiamo di fronte due grandi paesi – Turchia ed Egitto – molto vicini per tradizione religiosa ma differenti per ruolo geo-politico. La Turchia si è recentemente riposizionata nell'area mediorientale cercando di acquistare una posizione egemone come dimostra anche il ruolo svolto nella crisi siriana. Questa attività è mal vista dall'Egitto che la legge come un ritorno al passato e una forma di neo-ottomanesimo. Tuttavia i problemi interni dell'Egitto, dove dopo il 30 giugno di quest'anno gli assetti politici sono stati capovolti, e anche gli scontri avvenuti di recente ad Istanbul in funzione anti-governativa, suggeriscono che per l'agenda dei due paesi la questione armena non sia il problema principale da affrontare al momento.
Non è la prima volta che la Turchia viene spinta dal contesto internazionale (è avvenuto a proposito di un eventuale ingresso in Europa) ad interrogarsi sulla questione armena; un processo di revisione storica non dovrebbe partire dall'interno della società?
Caffulli: Nonostante qualche passo sulla questione sia stato compiuto – anche a livello informale con la famosa partita di calcio tra Turchia e Armenia del 2009 – tuttavia è vero che in Turchia la realtà del genocidio è un tabù. Gli storici turchi sono restii ad usare questa parola perchè leggono quella fase storica in maniera diversa e considerano gli accadimenti una forma di reazione del giovane stato turco ad una minaccia per la propria integrità. Tuttavia chi va ad Yerevan e visita il Museo del genocidio si rende conto che la brutalità impiegata nella deportazione degli armeni non è dissimile da quella testimoniata dal Museo dell'Olocausto, lo Yad Vashem, di Gerusalemme. Per l'opinione pubblica turca è necessaria una presa di consapevolezza che è sì un processo interno alla società, ma anche determinato in qualche modo dal tribunale della storia, soprattutto se la storia è stata negata e ammantata da mistificazione. Si tratta sicuramente di un passaggio fondamentale nel quale la Turchia si gioca il proprio futuro nella modernizzazione e anche il posto cui aspira nel consesso internazionale.