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Centrafrica: non una singola casa musulmana è stata bruciata

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Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 16/09/13
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I ribelli della coalizione Seleka hanno spazzato via almeno 14 villaggi. Sempre più grande anche la frattura tra la comunità islamica e il resto della società
«Gli eventi si susseguono rapidamente, così come s’intensifica l’aggressività dei ribelli. Assistiamo a scene apocalittiche e osserviamo i corpi delle tante vittime che giacciono ancora ai lati della strada». È il drammatico racconto di padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano e direttore della Caritas diocesana di Bouar, che da oltre vent’anni vive nella Repubblica Centrafricana.

In una conversazione con Aiuto alla Chiesa che Soffre, il religioso denuncia il drammatico aumento delle violenze. Il mese scorso, nella diocesi di Bouar, i membri della coalizione Seleka ribelli hanno compiuto numerosi attacchi costringendo gli abitanti alla fuga. «Nella sola città di Bohong sono state bruciate più di 3500 case, mentre più dell’80% della popolazione ha abbandonato il villaggio di Bossangoa, teatro di terribili scontri che hanno causato più di sessanta morti». E a Bohong i ribelli hanno ucciso una trentina di persone e dato alle fiamme oltre 2.000 case per costringere gli abitanti ad emigrare.

Almeno 14 villaggi sono ormai completamente deserti: città fantasma dove non rimangono che i cadaveri delle vittime. In tanti cercano rifugio altrove e la missione carmelitana di Bozoum ha accolto più di 6.500 rifugiati. «È commovente ascoltare i loro racconti – dice padre Aurelio – Si tratta di donne che hanno perso il proprio marito e di papà che hanno visto uccidere il proprio figlio. Tuttavia, nonostante le atrocità subite, nel loro cuore non c’è odio né rabbia, ma soltanto dolore e stanchezza».

Il religioso riferisce di una «commistione pericolosa tra diversi gruppi armati e di una sempre maggiore propensione alla violenza dei membri della Seleka». Ma a preoccupare padre Aurelio sono soprattutto gli effetti che la drammatica situazione centrafricana ha sui rapporti interreligiosi. «Un tempo i fedeli di credo diverso convivevano pacificamente, ma l’arrivo dal Sudan e dal Chad di ribelli musulmani ha contribuito alla creazione di una frattura tra la comunità islamica e il resto della società». Il missionario sottolinea inoltre come le abitazioni musulmane siano state risparmiate dagli attacchi, al contrario di quelle cristiane. «Non una singola casa musulmana è stata bruciata. In alcuni casi gli islamici centrafricani hanno perfino indicato ai ribelli quali abitazioni distruggere e saccheggiare. È come se questo colpo di stato abbia tirato fuori il peggio dal loro cuore».

Guardando al futuro, padre Aurelio non esclude che possano scoppiare nuovi scontri. E seppure le violenze dovessero finire all’istante, ci vorrebbero comunque anni per ricostruire il paese. «Ci vorrà ancora più tempo per ricreare una convivenza serena. Lo stato è assente e nessuno sembra interessarsi alle sorti del paese. Fortunatamente, però, la fede dei centrafricani è forte e viva, e la frase che ripetono più spesso è ancora “Nzapa a Yeke”: Dio c’è».

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