In piena era digitale, in un territorio così convulso senza mappe e topografie, la spiritualità centrata nel Cristo è una scommessa del futuro
“Gesù Cristo 2.0” è un libro molto personale. Non è un trattato di teologia, né una confessione filosofica. Non ha queste pretese. Non è, altresì, una analisi antropologica delle religioni, né un saggio sulla situazione del cristianesimo nella nostra cultura. È una presentazione molto particolare, quasi intima, una sorta di dichiarazione, di libera divagazione. Esprimo quel che credo, la fede che permea il mio essere, le fonti che nutrono la mia vita spirituale. Tento anche di dare ragione su ciò che credo, consapevole che lo sforzo del ragionamento non si ferma mai lungo il corso della vita.
Non pretendo di piantare la mia particolare bancarella nel grande supermercato delle religioni, né vendere un prodotto prefabbricato ad uso e consumo di tutti, ma piuttosto esporre le ragioni di una opzione spirituale che ha, come centro di gravità, il dialogo intimo, personale e intrasferibile con il Cristo, con il Maestro interiore, nelle parole di Sant’Agostino.
Nella nostra città postmoderna coesistono convinzioni religiose e spirituali di natura molto diversa. Questa situazione spirituale è frutto di questa esplosione di libertà, una scalata evidente nelle piazze, nelle strade, al mercato, e che, lungi dall’intimorirci dovrebbe essere motivo di festa e di gioia. Con tutto ciò, questo ribollire di libertà dopo decenni di contestazione, presenta nuove sfide, tra le quali la capacità di vivere armoniosamente con quel che è diverso.
Emerge, sorprendentemente, un interesse per la vita spirituale, per la spiritualità in senso lato. Questa irruzione può essere interpretata come una effervescenza post-materialista, come una sorta di reazione a un mondo saturo di utilitarismo, di individualismo e di economicismo, però, può essere letto anche come l’inizio di una vera rivoluzione della mentalità occidentale, come la nascita di una nuova coscienza che cambierà dalla radice la nostra civiltà e il sistema di vita, di produzione e di consumo che hanno segnato il ritmo della nostra società negli ultimi due secoli.
E’ difficile, al momento, pronunciarsi sulla portata, la grandezza e la trascendenza di questo fenomeno emergente. La spiritualità che rinasce dalle ceneri della civiltà delle frustrazioni e della infelicità che abbiamo costruito non è concepita necessariamente come una vitalità legata all’ambito religioso. Tampoco vi si oppone, necessariamente, però si legge e si interpreta in modo autonomo e indipendente dalle tradizioni religiose millenarie. Si valorizza, sempre più, l’esperienza spirituale, talvolta come una reazione logica ad un mondo materialista individualista e consumista, che soprattutto genera infelicità e frustrazione.
Tutti sperimentiamo credenze. La credenza non è patrimonio di un insieme disseminato di esseri umani che chiamiamo“credenti”. La dicotomia tra credenti e non credenti mi è sembrata sempre una triste semplificazione. Anche in questo campo, le apparenze ingannano. Tra gli atei vi sono grandi credenti, e, tra i credenti grandi atei.
Alcuni dei più celebri atei della storia credono in un paradiso in Terra, in una giustizia universale, in una Itaca della storia. Altri credono nella uguaglianza tra uomo e donna, e alcuni lottano per la difesa dei diritti degli animali. La credenza non è irrilevante nel movimento della persona e dei popoli. E’ spinta, forza trasformatrice, impulso utopico. Colui che crede si muove verso ciò che non possiede, e questo muoversi lo trasforma.
Tra i presunti credenti vi sono anche molti miscredenti. La credenza per inerzia è una sorta di installazione di comodo che non sottopone a riflessione il contenuto di ciò in cui si crede. Tutti, poco o molto, crediamo in qualche realtà, speriamo in qualcosa, poniamo fiducia in qualcuno. Confidare è scommettere, mettere cuore e mente in un progetto, senza garanzie che andrà in porto.
Non possiamo fare un passo nella nostra vita affettiva, sociale e professionale, senza fare atto di fede, senza credere negli altri, nelle istituzioni o nella tecnologia. Non è la credenza che ci differenzia gli uni dagli altri, piuttosto, la maniera di credere, e soprattutto, ciò che crediamo, il come e il perché, la forma e l’oggetto materiale.
Non è facile sapere perché una persona crede, a partire solo da osservazioni esteriori. Non sempre vi è unità tra vita e credenza. Molte persone dicono di essere cristiane, però, nel loro modo di vivere non si rileva questo credo. Altri dicono che sono pacifisti, però il loro modo di risolvere i conflitti quotidiani sono molto lontani dalla mediazione e dall’uso delle pratiche non violente. L’apparenza non sempre esprime le credenze profonde. Ci sono occasioni in cui si obbedisce ad obiettivi più modesti come, per esempio, sedurre, creare vincoli, generare attrazione.
L’opzione per Cristo è una scelta per l’essere umano, per la natura e per la storia. E’ questa una spiritualità che lungi dal rinchiudere la persona nella coscienza, l’apre agli altri e all’Altro. Si traduce in qualità di legami che si stabiliscono con gli altri.
In senso stretto, l’opzione per Cristo è fare della propria vita un cammino di imitazione di Gesù, dei suoi insegnamenti, del suo modello; una imitazione che apre orizzonti nella vita personale e sociale, che sviluppa, a mio parere, la potenzialità creativa di ogni essere umano e attiva la sua infinita capacità di amare. Gesù si trasforma, così, nell’orizzonte della mia vita, nel mio ideale, nel riferimento da imitare, con la convinzione, tuttavia, che in questa imitazione sono spinto da una forza, lo Spirito, che realizza nel mio essere e rene possibile l’anelata trasformazione.
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[Estratto da "Gesù Cristo 2.0. Il cristianesimo qui e ora" di Francesc Torralba]