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Padre generale dei gesuiti: l’intervento in Siria sarebbe un abuso di potere

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Gesuiti nel mondo - pubblicato il 04/09/13
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“Gli Stati Uniti d’America devono smettere di comportarsi e reagire come il fratello maggiore del quartiere del mondo”

D.  Il Santo Padre ha lanciato un appello fuori del comune a favore della pace in Siria. Qual è la sua opinione in proposito?

R. Non ho l'abitudine di fare commenti su questioni di carattere internazionale o politico. Ma in questo caso siamo di fronte ad una situazione umanitaria che va oltre i limiti che normalmente mi farebbero restare in silenzio. Devo ammettere che non capisco che diritto abbiano gli Stati Uniti o la Francia ad agire contro un Paese in un modo che senza dubbio aumenterà le sofferenze di una popolazione che ha già sofferto abbastanza. La violenza o le azioni violente, come quella che si sta preparando, sono giustificabili unicamente come ultimo tentativo e in modo tale che solamente i colpevoli ne subiscano il danno. Nel caso di un Paese ciò è chiaramente impossibile e quindi mi sembra completamente inaccettabile. Noi gesuiti appoggiamo al 100% l'azione del Santo Padre e ci auguriamo con tutto il cuore che l'annunciato attacco contro la Siria non abbia luogo.

Q.  Ma il mondo non ha la responsabilità di fare qualcosa contro chi abusa del potere contro il suo stesso popolo, come nel caso di un governo che in un conflitto usa armi chimiche?

R. Qui si tratta di tre diversi aspetti, che conviene separare con chiarezza. Il primo ha a che fare con il fatto che ogni abuso di potere deve essere condannato e rifiutato. E, con tutto il rispetto per il popolo degli Stati Uniti, credo che l'intervento militare che si sta preparando costituisca un abuso di potere. Gli Stati Uniti d'America devono smettere di comportarsi e reagire come il fratello maggiore del quartiere del mondo.  Questo porta inevitabilmente all'abuso, molestia e bullismo sui membri più deboli della comunità. 

Il secondo è che se c'è stato l'uso di armi chimiche abbiamo comunque l'obbligo di mostrare chiaramente al mondo intero che un gruppo del conflitto e non l'altro le ha usate. Non è sufficiente che qualche membro del governo del Paese che intende intervenire emetta un verdetto di colpevolezza. Bisogna che dimostrino al mondo che è così, senza dubbi, affinché il mondo possa fidarsi di loro.  Questa fiducia oggi non c'è e sono già iniziate le speculazioni su altri motivi degli Stati Uniti per il previsto intervento.

E il terzo è che i mezzi considerati adeguati per punire l'abuso non danneggino le stesse vittime del primo abuso, una volta dimostrato che esso sia avvenuto. L'esperienza passata ci insegna che questo è praticamente impossibile (anche se chiamiamo le vittime con l'eufemismo di "danno collaterale") e il risultato è l'aumento delle sofferenze per il popolo innocente e estraneo al conflitto.  Tutti sappiamo che la grande preoccupazione dei Saggi e dei Fondatori Religiosi di tutte le tradizioni e culture era "come ridurre la sofferenza umana"? E' molto preoccupante che in nome della giustizia si pianifichi un attacco che aumenterà la sofferenza delle vittime.

Q.  Non è troppo duro con gli Stati Uniti?

R. Non credo. Non ho mai avuto pregiudizi verso questo grande Paese e attualmente lavoro con alcuni gesuiti statunitensi la cui opinione e collaborazione tengo in grande considerazione. Mai ho avuto sentimenti negativi verso gli Stati Uniti, un Paese che ammiro molto per diversi motivi, tra cui l'impegno, la spiritualità e il pensiero. Ciò che più mi preoccupa è che proprio questo Paese, che io ammiro sinceramente, sta sul punto di commettere un grande errore. E potrei dire lo stesso della Francia: un Paese che è stato un vero leader in spirito, intelligenza, che ha contribuito notevolmente alla civilizzazione e alla cultura e che ora è tentato di condurre di nuovo l'umanità verso la barbarie, in aperta contraddizione con tutto quello che esso ha significato per molte generazioni. Che questi due Paesi si uniscano adesso per una decisione così oltraggiosa che suscita la rabbia di tanti Paesi nel mondo.  Non abbiamo paura dell'attacco, ci spaventa la barbarie verso cui siamo condotti. 

Q.  Perchè parlare così adesso?

R. Perché il pericolo è adesso.  Perché il Santo Padre sta prendendo provvedimenti straordinari per renderci consapevoli dell'urgenza del momento.  L'aver dichiarato il sette settembre giorno di digiuno per la pace in Siria è una misura straordinaria e noi vogliamo unirci a lui.  Possiamo ricordare che in un passaggio del Vangelo quando i discepoli non riescono a liberare un giovane da uno spirito malvagio, Gesù gli dice: "Questa specie di spirito si può cacciare solo con la preghiera e il digiuno". Per me è molto difficile accettare che un Paese che si considera, almeno nominalmente, cristiano in una situazione di conflitto non possa concepire altro che l'azione militare e con essa portare il mondo nuovamente alla legge della giungla.

Jesuit News Around the World

Servizio Digitale d'Informazione SJ  Vol. XVII, No. 19 | 04 settembre 2013

 

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