E’ la prima volta che l’Italia si smarca dagli interventi militari statunitensi. Le cose potrebbero però cambiare specie se le operazioni dovessero prolungarsi e vi fosse un coinvolgimento della Nato
”Se le Nazioni Unite non ci sono l'Italia non parteciperà“ a una eventuale azione contro la Siria, ma “il dato politico di condanna contro il regime di Assad è molto netto”. Il presidente del Consiglio, Enrico Letta ha delineato con queste parole la posizione di Roma nell’iniziativa militare che gli anglo-americani e i francesi minacciano di scatenare contro Damasco. Si tratta quindi di una "condanna ferma e irrevocabile dei crimini contro l'umanità che sono stati commessi in Siria" che "le evidenze che sono disponibili per adesso lasciano intendere che sono stati commessi dal regime di Assad” pur ribadendo il no dell’Italia al coinvolgimento in operazioni militari.
Ancora più netta la posizione del ministro della Difesa. Mario Mauro che ha ricordato come l'Italia è impegnata con contingenti militari “in Libano, in Libia, in Kosovo, in Afghanistan”. Se si dovesse arrivare a un mandato dell’Onu ''potremmo condividere la risoluzione, ma i nostri militari sono già fortemente impegnati in altri scenari”. Una posizione simile a quella annunciata anche dal governo canadese. “Insomma non ci sono spazi perché l'Italia prenda parte attivamente ad una nuova azione militare” ha tagliato corto Mauro in un’intervista al quotidiano Avvenire precisando che “fino ad oggi nessuno ci ha chiesto l'utilizzo delle basi”.
E’ la prima volta che l’Italia si smarca dagli interventi militari statunitensi dopo la partecipazione ai raids aerei su Bosnia e Kosovo negli anni ’90 alle operazioni in Afghanistan e Iraq e alla guerra contro Gheddafi a cui Roma fu “costretta” ad aderire dalle pressioni di Washington, Londra e Parigi. Una posizione importante giustificata non solo dal rischio che un nostro impegno bellico metta in pericolo ancor maggiore gli oltre 1.100 militari schierati nel Libano meridionale in una missione dell’Onu di cui l’Italia ha addirittura il comando. La decisione del governo Letta nasce infatti anche da una valutazione politica diversa da quella espressa da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna e dai loro alleati turchi e arabi.
“Il caso Siria va gestito con equilibrio – ha aggiunto Mauro – serve dialogo continuo perché l'obiettivo del governo italiano è uno solo: evitare avventure al nostro Paese. Ci sono margini per scongiurare una deriva drammatica e rischiosa. La Siria è un paese dove la Russia ha la più importante base militare fuori dai propri confini” riferendosi alla base navale di Tartus. Un implicita critica alle motivazioni che hanno indotto Washington a minacciare l’attacco a Damasco per l’uso di armi chimiche è giunto dal ministro degli Esteri, Emma Bonino. “Chi ha prove le deve mettere a disposizione di istituzioni terze, e questo, con il lavoro degli ispettori, può costruire un caso di evidenze più aperte ad uno scrutinio generale. A volte in base ad evidenze selettive, sono state prese decisioni…" ha glissato Bonino ma è chiaro il riferimento all'invasione dell'Iraq nel 2003 decisa sulla base di elementi di intelligence, la presenza di armi di distruzione di massa negli arsenali di Saddam Hussein, di cui non sono poi stati trovati riscontri. “La comunità internazionale" ha osservato il ministro “è spesso colpevole di non intervento ma altrettanto spesso è colpevole di interventi non propriamente ragionati".
La posizione assunta dall’Italia, inedita per un Paese abituato a farsi “dettare” le scelte di politica estera e militare, fa onore a un governo giudicato da molti strutturalmente debole e non crea problemi di consenso interno dal momento che nessuna forza parlamentare ha finora mostrato entusiasmi bellicisti. Forse anche per la diffusa consapevolezza che non esiste un progetto politico per il dopo-Assad e il rischio è di lasciare la Siria nel caos o in mano ad al-Qaeda. Inoltre, a differenza della campagna libica del 2011, per attaccare la Siria le basi italiane non servono. Si trovano a 2 mila chilometri da Damasco e potrebbero al massimo venire utilizzate come scalo logistico per i jet diretti verso le basi aeree turche, giordane, cipriote, a Creta e nel Golfo Persico che sono più vicine alla Siria e già accessibili ai velivoli anglo-americani.
Scettici sull’intervento militare anche analisti e militari. “La situazione siriana è tale da rendere attualmente inefficace qualsiasi intervento militare se non a sostegno di un disegno politico ben definito e non vedo questo disegno” ha dichiarato il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica e della Difesa e oggi vicepresidente dell’ Istituto Affari Internazionali. Il punto, secondo il generale è che l’intervento non deve servire a “dare una lezione ad Assad”. “Francamente credo che questo non sia il modo migliore di usare la forza militare, che non serve per dare lezioni ma per risolvere situazioni”. Per il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e presidente della fondazione ICSA “conviene che in Siria non si attacchi” poiché “l’unico risultato utile che si potrebbe conseguire è quello di depotenziare, fino a neutralizzare, le capacità di chi ha usato le armi chimiche”.
Non si può escludere che il no di Roma al coinvolgimento bellico susciti qualche reazione di disappunto da parte degli alleati, già registrate da alcune indiscrezioni. Ieri il ministro Bonino ha smentito a Parigi che vi sia "irritazione" da parte di Stati Uniti o Francia. "La posizione italiana non suscita nessun elemento di irritazione sia tra i francesi che tra gli americani" ha assicurato la titolare della Farnesina al termine dell’incontro con il collega Laurent Fabius. Le cose potrebbero però cambiare specie se le operazioni militari dovessero prolungarsi e vi fosse un coinvolgimento della Nato, non impossibile in caso di allargamento o recrudescenza del conflitto. L’Alleanza Atlantica ha fatto sapere con un comunicato di “monitorare con attenzione” la situazione in Siria e vale la pena ricordare che anche l’attacco alla Libia iniziò con un forte blitz statunitense ma dopo poche settimane Barack Obama ritirò gran parte dei suoi mezzi militari lasciando agli alleati europei il compito di concludere la guerra. In un simile contesto aerei e navi italiani, ora non necessari, potrebbero venire richiesti, specie i bombardieri Tornado ECR specializzati nella distruzione dei radar nemici e già protagonisti dei conflitti contro Serbia e Libia. Sviluppi per ora ipotetici ma che determinerebbero forti pressioni sul governo italiano.