I cristiani dell’area chiedono di non procedere con l’intervento armato per non avere un nuovo Iraq
“Una azione militare delle forze Usa o della Nato non risolverà i problemi della Siria. Potrebbe invece portare alla morte di migliaia di siriani e alla frantumazione della Siria. Significherà la ulteriore fuga dei siriani paesi circostanti e destabilizzerà tutto il Medio Oriente, lasciando l’area in preda alla violenza fuori controllo”: è il monito lanciato da Mairead Maguire, Premio Nobel per la pace nel 1976, per l’impegno in Irlanda del Nord, e responsabile dell’Ong “Peace People”. Il Nobel prosegue così sulla Siria che ha da poco visitato in un tentativo di negoziato: “Il popolo della Siria chiede a gran voce la pace e la riconciliazione e una soluzione politica alla crisi siriana, che continua a essere infiammata da forze esterne, con migliaia di combattenti stranieri, finanziati da paesi esteri, per i propri interessi politici”. Maguire racconta di aver incontrato in Sira molte persone e gruppi che, anche nel conflitto civile, “lavorano alla costruzione della pace e della riconciliazione” (Agenzia Fides, 28 agosto).
Mons. Giuseppe Nazaro, francescano, già Vicario Episcopale per la zona del Cairo e dell’Alto Egitto e poi vicario apostolico di Aleppo, e quindi esperto conoscitore del Medio Oriente è scettico sulle responsabilità del governo di Damasco nell'uso delle armi chimiche “Qualche tempo fa, un grosso sostenitore della ribellione siriana ha dichiarato ed ha scritto che se i terroristi fossero riusciti ad avere le armi chimiche avrebbero potuto usarle tranquillamente per lo scopo finale (ndr, la caduta di Assad). Perciò non è escluso che potrebbe venir fuori proprio lo scenario immaginato da questo personaggio che oggi si dice sia in mano ai terroristi: si gettano le armi chimiche, arrivano gli ispettori dell’Onu e s’incolpa il governo” e la conferma di questa strategia verrebbe dal fatto che ormai: “Il governo è già stato incolpato, c’è stata già la condanna finale da parte del ‘mondo’ e da parte dei mezzi di comunicazione: Al Jazeera e Al Arabiya hanno già stabilito chi sia il colpevole e con quello che loro dicono si è ‘aggiustata’ l’informazione. A questo punto, a mio avviso, dobbiamo riflettere tutti: chi stiamo sostenendo noi? Le cose stanno in questo modo, oppure come loro vogliono farle apparire, oppure ancora ci stanno prendendo in giro? Ma attenzione: è nel DNA del potere non rivelare quello che è e quello che pensa per poter fare poi ciò che vuole. Ci sono vie traverse per raggiungere un obiettivo. Oggi si sta giocando la carta del ‘fine giustifica i mezzi’. È il machiavellismo totale” (La Perfetta Letizia, 24 agosto).
La situazione che si sta delineando è la totale destabilizzazione dell'area, con tutti gli effetti che questo può portare in una zona che nell'ultimo decennio è stata investita di guerre e conflitti dall'Afghanistan alla Libia. Ecco allora che è questo – più che mai – il momento di far tacere le armi e far parlare le diplomazie, i popoli e permettere a tutti di trovare una soluzione pacifica, così come invoca per bocca del suo vicepresidente, Sergio Paronetto, Pax Christi: “Ogni forma di intervento armato a sostegno dell’uno o dell’altro schieramento porterebbe alla catastrofe totale, renderebbe esplosiva un’ampia area euro–asiatica già instabile fino a rischi di una guerra (strisciante o molecolare) di portata mondiale. Non si può accettare che la soluzione di un conflitto avvenga con imprese armate che lo alimenterebbero e lo aggraverebbero in una spirale senza fine. Come ripete spesso papa Francesco, la strada da seguire non è l’intensificazione militare del conflitto armato, ma la «riconciliazione nella verità e nella giustizia» che può trovare attuazione nella progettata Conferenza di pace di Ginevra” (Avvenire, 27 agosto).
Perchè non va dimenticata la lezione dell'Iraq, una lezione che evidentemente l'Occidente fatica a capire. La destabilizzazione senza nessun processo di pacificazione e riconciliazione non può funzionare. “Noi, in Iraq, dopo l’invasione degli americani, dopo dieci anni, dove stiamo andando? Dove va il Paese?” si domanda il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Rapahel I Sako “E’ diviso, ci sono problemi di sicurezza, di lavoro, di corruzione, tutto viene creato in maniera “confessionale”. Dove sono la democrazia e la libertà? Sono questi i progetti? Se l’Occidente vuole aiutare questi Paesi a trasformarsi in democrazie aperte, devono educare la gente, e non con le bombe! Devono pensare anche alle conseguenze per la Siria ma anche per l’Iraq, per il Libano e per l’Iran. È facile bombardare un Paese, dopo però bisogna fare i conti con la coscienza” (Radio Vaticana, 28 agosto).