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Siria: armi chimiche sui civili, ma chi è il mandante?

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 23/08/13
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Sempre più fosco il quadro in quell’area, dove non è facile capire la verità di quello che accade

La guerra al tempo dei social media è una cosa ancora più complessa da decifrare e raccontare che non ai tempi delle telecamere sul campo negli anni '90. Tutto è vero, tutto è falsificabile. Nulla mai davvero certo, specialmente in aree critiche come quella della Siria dove i reporter faticano ad arrivare. In queste ore il mondo è stato inondato di immagini crude e raccapriccianti che parlano di morte nei sobborghi di Damasco: bambini, donne, uomini uccisi con molta probabilità con l'uso di armi chimiche. E' scoppiata sui media e sui social network l'indignazione, ma qual'è la verità? 
 
Alla fine della giornata il bilancio dei morti dopo l'attacco in cui i razzi avrebbero colpito tre sobborghi: Ain Tarma, Zamalka e Jobar, parla di 1300 vittime. Gli attivisti  dell'opposizione hanno riportato le parole di una  infermiera di un ospedale da campo. «Molti feriti sono donne e bambini. Sono arrivati all'ospedale con le pupille dilatate, gli arti freddi e la schiuma alla bocca. I medici hanno detto che sono i classici sintomi che accusano le vittime del gas nervino» (Avvenire, 23 agosto)
 
Il mondo trema: di rabbia e di paura. Rabbia per l'uso di armi di distruzione di massa come quelle chimiche. Di paura perché questo potrebbe essere il “punto di non ritorno” che implicherebbe l'intervento della comunità internazionale in Siria. Vorrebbe dire una nuova guerra.
 
Ma la situazione non è chiara: da Mosca un comunicato molto dettagliato afferma che «Nelle prime ore del mattino del 21 agosto un missile di fabbricazione artigianale, simile a quello utilizzato dai terroristi il 19 marzo scorso a Khan al-Assal e contenente una sostanza chimica tossica non identificata, è stato lanciato da posizioni occupate dalla guerriglia. Si ha notizia di morti tra la popolazione». Questo farebbe pensare che l'attacco non provenga dalle forze governative che avrebbero bombardato con gli aerei e non con i razzi. L'ipotesi allora è che tra gli oppositori ci siano gruppi terroristici intenzionati a far precipitare definitivamente la situazione e fonti dell'intelligence riferiscono che gruppi siriani legati ad Al Qaeda abbiano tentato di rifornirsi di armi chimiche. (La Nuova Bussola Quotidiana, 23 agosto)
 
Dalla Svizzera l'invito al dialogo e alla pace viene da mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra che invita alla cautela nell'attribuzione delle responsabilità: “Non bisogna accelerare un giudizio senza avere sufficiente evidenza. La comunità internazionale, attraverso gli osservatori delle Nazioni Unite, che sono già presenti in Siria, potrebbe far luce su questa nuova tragedia. Non si può, a mio avviso, partire già con un pregiudizio, dicendo che questo o quello sono responsabili. Dobbiamo chiarire il fatto, anche perché da un punto di vista d’interessi immediati, al governo di Damasco non serve questo tipo di tragedia, sapendo che ne è comunque incolpato direttamente. Come nel caso delle investigazioni di un omicidio, bisogna farsi la domanda: a chi veramente interessa questo tipo di crimine disumano?” (Radio Vaticana, 22 agosto) 
 
Ma allora cosa deve fare il mondo? Non è una domanda facile, di sicuro un qualche tipo di intervento andrà escogitato, e il Consiglio di Sicurezza dell'Onu dovrà prendere delle posizioni, mediando e trovando un modo di far finire gli scontri, scontri che dall'inizio della guerra civile iniziato il 15 marzo del 2011 e che ha generato non meno di 100 mila morti e oggi si parla di due milioni di profughi di cui la metà minorenni, la maggior parte sotto gli undici anni secondo l'Unicef e Unhcr, le agenzie Onu che si occupano di infanzia e crisi umanitarie. (Repubblica, 23 agosto).
 
La Francia di Hollande è pronta ad intervenire militarmente, Obama invece in questa fase tentenna ed è attaccato in patria dalla stampa e dai repubblicani, che lo incalzano proprio su quella “linea rossa” che Assad non avrebbe dovuto superare, cioè l'uso delle armi chimiche, ultimatum pronunciato dallo stesso Presidente americano. Ma il quadro è fosco e un intervento militare non garantirebbe affatto uno sbocco politico, di ricostruzione del paese e si rischia di generare ancora più caos in un'area fortemente instabile dopo un decennio di guerra in Iraq e poi Afghanistan.
 
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