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Comico per paura: con me Dio ha usato questo stratagemma

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Quotidiano Meeting - pubblicato il 23/08/13
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Intervista a Giacomino Poretti, del trio “Aldo, Giovanni e Giacomo”, che al Meeting ha presentato «Rido per esorcizzare ciò che spaventa»di Niccolò De Carolis

Scrivere un libro è stato un dovere. Sarebbe bello che ciascuno di noi desse testimonianza di questo passaggio terreno, di ciò che abbiamo ricevuto dalla vita». Giacomo Poretti l’anno scorso ha deciso di pubblicare un’autobiografia dal titolo “Alto come un vaso di gerani”. La prima notizia è che l’ha fatto all’infuori del trio “Aldo, Giovanni e Giacomo” che l’ha reso famoso. La seconda è che non si tratta di un libro comico, anzi. Uno dei personaggi principali è la paura. Ieri lo ha presentato al popolo del Meeting, durante un “Caffé letterario”.

Giacomino, sei diventato un tipo serio?

«No, sono sempre la stessa persona. Il “Gerva” del Canton Ticino o il poliziotto di Busto Garolfo. Ma noi non siamo mai una cosa sola. Grazie a quest’ultimo lavoro ho potuto esprimere un’altra mia sfaccettatura».

Di cosa avevi paura da piccolo?

«Di tante cose. Ma credo che in fondo la paura non ha un volto preciso, ed è per questo che spaventa tanto. Inoltre è impossibile vincerla totalmente perché ritengo faccia parte del mistero della vita. Ci mette in contatto con chi sta lassù in alto».

Com’è nata la tua comicità?

«È un tentativo di risposta alla paura, è un modo per esorcizzarla stando allegri e divertendosi. Funziona, ma non completamente. Perché uno ride, scherza, sta bene, ma poi lo spavento torna perché questo mistero vuole farsi conoscere. Noi non siamo dei burattini e Dio chiama ognuno di noi nei modi più inusuali. Lo stratagemma che ha usato con me è stata la paura».

Dove ti ha portato?

«Innanzitutto all’incontro con mia moglie, che poi è diventata la mia famiglia, e poi a un cammino di fede. Credo che voi potete capire bene di cosa si tratti: inizia tutto con i genitori che ti hanno desiderato e battezzato, passa per la vita in oratorio, fino a diventare qualcosa che rimane lì e che bisogna riconquistare. È la storia di Qualcuno che ti chiama sempre».

In un articolo uscito su Avvenire hai scritto che tutti ti chiedono come mai hai deciso di andare al Meeting. Che risposta hai dato?

«Io non sono ciellino ma ho tanti amici nel movimento. Mio figlio frequenta una vostra scuola e guardo con molta simpatia e completa adesione il modo con cui voi intendete l’educazione. Qualche grattacapo mi viene se parliamo di politica. Su questo fronte un po’ mi fate preoccupare, nel senso che mi vengono un po’ di domande, vorrei capire: per esempio, siete sicuri di esservi alleati con le persone giuste? Io non faccio un discorso moralistico, anzi ammiro chi sceglie di compromettersi nella politica, che è molto complicata e comporta diverse difficoltà. Però, porca miseria…».

“Emergenza uomo” cosa ti fa venire in mente?

«È un titolo bellissimo, vasto ma allo stesso tempo molto denso. Richiama alle varie sfide della modernità: la politica, che fa tanto fatica a coinvolgere la gente, i giovani e le nuove famiglie che hanno bisogno di spazi di libertà. Credo che la preoccupazione del Meeting sia che in tutto questo l’umanità non sfugga di mano, ma rimanga qualcosa di fondante».

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