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La legge anti-omofobia? Una “caccia alle streghe” inutile anche per i gay

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Vinonuovo.it - pubblicato il 22/08/13
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No a repressione, sì a libertà di opinione e approfondimento del dibattito. La società non può equiparare giuridicamente unioni gay ed etero

di Giuseppe Savagnone

Non molti sanno che lo scorso 22 luglio la commissione Giustizia della Camera ha approvato, con i voti favorevoli di PD, PDL e SEL il disegno di legge contro l’omofobia e la transfobia. Il testo, che ha per relatori i deputati Ivan Scalfarotto del PD e Antonio Leone del PDL, consta di un solo articolo con cui vengono modificati l’art.3 della Legge 13 ottobre 1975 n.654 e l’art.1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122. La modifica consiste nell’aggiungere l’«omofobia» e la «transfobia» alle altre forme di discriminazione e violenza previste in quei provvedimenti e che riguardano la razza, l’origine etnica, la nazionalità e la religione. Se, a settembre, il disegno di legge verrà definitivamente approvato dal Parlamento – come prevedibile, date le "larghe intese" che lo sostengono – , sarà penalmente punibile non solo «chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», come finora è stato, ma anche chi inciterà a commettere atti di discriminazione per motivi «fondati sull’omofobia o transfobia».  

Una parte consistente dell’opinione pubblica saluta con favore un provvedimento che ha sicuramente il merito di prendere pubblicamente posizione contro quell’infinità di comportamenti gravemente offensivi e discriminatori a cui da sempre i gay sono esposti. È di pochi giorni fa la notizia del suicidio di un povero ragazzo di quattordici anni, spinto alla disperazione dagli scherni dei compagni e dalla solitudine in cui questi lo avevano confinato a causa della sua omosessualità.

Ho già avuto modo di esprimere, anche su Vino Nuovo, la mia totale solidarietà con persone che hanno visto calpestata la propria umana dignità, spesso proprio da quei cristiani (anche se non solo da loro) che avrebbero dovuto valorizzarla e difenderla, sull’esempio del loro Maestro, al di là delle valutazioni etiche sui loro comportamenti.

Ma rivendico il diritto di sostenere che la società non può e non deve mettere, giuridicamente, sullo stesso piano le unioni gay e quelle etero, per esempio per quanto riguarda l’adozione. Sostenere, come si fa spesso, che la figura paterna e quella materna sono solo delle costruzioni sociali e culturali e che un figlio può crescere senza problemi anche in una situazione in cui al loro posto vi sono due personaggi maschili o due femminili, mi sembra contrario non alla fede, ma alla ragione. Già l’esperienza personale ci dice quanto sia profonda la diversità tra la relazione con il padre e quella con la madre. Molti disturbi della personalità nascono dallo squilibrio tra di esse. Ma, anche sul piano scientifico, c’è più di un secolo di studi, condotti nell’ambito non della teologia morale, ma della psicoanalisi, che si fonda sulla differenza – originaria e tutt’altro che convenzionale – tra figura paterna e figura materna.

Equiparare questa argomentata opposizione alle adozioni da parte di coppie gay – oggettivamente discriminante (ma "discriminazione" significa soltanto distinzione e non è necessariamente ingiusta: il fisco, per esempio, deve discriminare i ricchi rispetto ai poveri) – a quella, per esempio, nei confronti delle adozioni da parte di coppie di neri o di seguaci di altre religioni, significa porre le ragioni appena esposte sullo stesso piano delle teorie pseudo-scientifiche relative alla superiorità di una razza rispetto alle altre, o del fanatismo religioso.

Naturalmente non mancano ragioni in contrario. Mi permetto di dire, però, che le singole situazioni fattuali o le indagini sociologiche, spesso citate, da cui risulterebbe che i figli di coppie gay crescono in perfetta serenità, lasciano il tempo che trovano. Proprio la psicoanalisi ci ha insegnato che certi disturbi sono molto profondi e maturano nell’inconscio, da cui non affiorano certo per effetto di un’intervista. Solo un lavoro molto serio di ricerca può pretendere di rimettere in discussione quello che studiosi universalmente riconosciuti, da Freud in poi, hanno detto su questo tema.

Quanto all’argomento – anch’esso molto ripetuto – per cui è comunque meglio per un bambino essere adottato da una coppia gay che languire in un orfanotrofio (oggi, veramente, sono case-famiglia), esso può essere sostenuto solo da chi non conosce bene i fatti. Oggi in Italia ci sono moltissime coppie etero che vorrebbero adottare dei figli, a volte senza porre alcuna condizione, e che non ci riescono, o devono sottostare a lunghissime attese, per la farraginosità dei meccanismi burocratici. Se si vuole dare una famiglia a chi non ce l’ha, si deve cominciare da qui.

Quello dell’adozione è forse il caso più evidente di una problematica ancora aperta, che la nuova legge rischia di chiudere dogmaticamente e ideologicamente. I suoi sostenitori dicono di non volere introdurre in alcun modo un reato di opinione. Ma il testo è interpretabile in vari modi e dipenderà dall’arbitrio dell’eventuale giudice se una riflessione come questa debba o no essere considerata un «incitamento alla discriminazione» e quindi passibile di sanzione penale.

Una "caccia alle streghe", in questo momento, non mi sembra un buon servizio per nessuno, meno che mai per i gay. Quello di cui c’è bisogno non è una repressione, ma un approfondimento del dibattito e soprattutto la promozione, in sede educativa, di una cultura del rispetto di chi è diverso. E’ su quest’ultima che difensori e critici delle nozze gay, oggi, dovrebbero innanzi tutto convergere con tutte le loro forze, nella consapevolezza che anche eventuali leggi non possono sostituirla. Su questo terreno, proprio nel caso degli omosessuali, c’è moltissimo da fare per evitare ogni forma di angosciosa emarginazione. Perché non debba mai più accadere che un ragazzo di quattordici anni si lanci dalla finestra per non sentirsi più "sbagliato".

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