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Claire Ly, rapita da Dio nei lager di Pol Pot

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Quotidiano Meeting - pubblicato il 22/08/13
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Prima la prigionia e le torture nei campi di concentramento dei Khmer rossi. Poi la fuga in Francia e la conversione. «È Dio che perdona chi ha fatto il male. A Lui ho affidato le anime dei miei aguzzini»di Romano Guatta Caldini

Pensate se la democrazia venisse soppiantata da una delle dittature più sanguinarie e folli che la storia abbia conosciuto. Poi fissate nella vostra mente l’immagine dei corpi senza vita dei vostri cari: ad esempio, vostro marito, vostro padre e i vostri fratelli. Assassinati perché considerati nemici del popolo, in quanto contrari alla nuova ideologia imposta dalla dittatura o perché credenti. Sarebbe un incubo, per tutti, ma è stata la realtà per la scrittrice e giornalista Claire Ly, ospite del Meeting e protagonista dell’incontro-testimonianza “Cosa ridesta l’umano” che si terrà oggi alle 15.00,presso il salone D5 al Meeting di Rimini. Un destino, quello di Claire,  condiviso dai parenti degli oltre due milioni di cambogiani vittime del regime di Pol Pot.

I Khmer rossi, tra il 1975 ed il 1979, trasformarono la Cambogia in un lager a cielo aperto: internamenti, malattie, malnutrizione e omicidi sommari rappresentavano la realtà quotidiana a cui era sottoposta la popolazione. «Facevo la professoressa di filosofia ed essendo considerata una intellettuale venni inviata nelle risaie per purificarmi attraverso i lavori forzati. La vita era molto dura per gli intellettuali» racconta la scrittrice. Durante il periodo vissuto nei campi di lavoro avvenne il primo incontro con Dio. La rabbia per ciò che era accaduto alla sua famiglia e per ciò che le stava accadendo cresceva di giorno in giorno, al pari dei soprusi e delle violenze a cui era sottoposta, nonostante fosse incinta. Per fuggire dalla realtà, Claire idealizzò un nemico contro cui scaricare la propria ira: «All’epoca ero buddista e per stemperare la mia collera – racconta – avevo idealizzato un feticcio che con il passare del tempo avevo imparato a chiamare il Dio degli occidentali».

Il marxismo era nato in Europa e, gioco forza, il male proveniva da Occidente. Quello che però Claire non si aspettava era che il tanto odiato Dio del cristianesimo ascoltasse i suoi lamenti, le sue suppliche: riuscì a sopravvivere a quell’inferno e decise di prendere per mano suo figlio e scappare. Due anni di lavori forzati e una famiglia sterminata dalla follia comunista: con questo fardello sulle spalle Claire Ly sbarcò a Marsiglia, complice la conoscenza della lingua francese. Qui avvenne la conversione. Dopo la lettura del Vangelo, quel Dio così potente e distante cominciò a farsi strada nel suo cuore. Cristo si era fatto uomo, soffrendo nella carne, come lei. Era un Dio tanto, troppo lontano dalla perfezione del Buddha. Claire si riconobbe così nella «debolezza» di Cristo, nella sua umanità. Questo senza rinnegare nulla della filosofia orientale, come ha raccontato nel libro “La Mangrovia. Una donna, due anime” (2012, Pimedit editore). Come la pianta, che trae la sua forza vitale sia dall’acqua dolce che da quella salata, anche la scrittrice ha imparato a far convivere l’Oriente e l’Occidente.

A distanza di anni, il pensiero di Claire nei confronti dei suoi aguzzini e nei confronti degli assassini dei suoi familiari è cambiato: «Il perdono è il cuore della fede cristiana. Mia figlia non ha potuto conoscere suo padre, per questo un giorno l’ho portata nel luogo in cui venne assassinato. Lì, insieme, abbiamo recitato il Padre Nostro. Dopo quest’esperienza ho capito che Dio ci perdona come perdona chi ci ha fatto del male. Per questo, adesso, posso dire di averli perdonati. Ho poi spiegato a mia figlia che quando Gesù venne crocifisso non disse vi perdono, ma Dio perdonali perché non sanno quel che fanno. Io e mia figlia abbiamo affidato a Dio le anime di chi ci ha fatto del male».

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