Il racconto di un punto di vista non può deformare i fatti, il giornalismo non è propaganda
di Fabio Spina
“[…]Se il bacio sulla bocca indubbiamente attinge una zona generalmente considerata erogena, è altrettanto indubbio che esso perde il connotato sessuale se è dato in particolari contesti sociali e culturali. Per esempio, nella tradizione russa il bacio sulla bocca è scambiato come forma di saluto, sicché il bacio c.d. alla russa non può identificarsi come atto sessuale. Altrettanto può avvenire in certi contesti familiari o parentali, in cui il bacio sulla bocca tra parenti è solo un segno di affetto, privo di connotazioni sessuali penalmente rilevanti […]”, così si esprimeva la Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale in una nota sentenza del l’anno 2007 n. 25112.
Sarebbe bastato qualche minuto di ricerca su Internet ed un poco di obiettività per avere qualche dubbio prima di diffondere in tutto il mondo il “bacio sulla bocca” delle atlete russe, Tatjana Firova e Ksenija Rizhova, trasformato da festeggiamento "sportivo" ad atto "politico".
Ma proprio questo clamoroso “incidente” offre lo spunto per una riflessione più ampia sullo stato della comunicazione. Troppo spesso sui quotidiani non si offrono gli elementi per una lettura obiettiva della realtà da cui trarre poi delle conclusioni; al contrario, “l’ideologia” o gli interessi che li guidano portano i media a deformare la realtà per supportare le sole conclusioni che sono dettate dalla “linea editoriale”.
Così un intero “mondo mediatico”, che troppo spesso durante le gare sportive vuole vietare anche di indossare qualsiasi indumento o simbolo che rimandi a slogan politici o a precetti religiosi (si può rileggere “Calciatrici a capo coperto? Se è per fede non si può”), ha visto nel bacio delle atlete russe l’evento mediatico mondiale utile a “strumentalizzarle” come involontarie testimonial della validità della teoria gender.
Costatando quanto accade nel mondo dell’informazione torna in mente il richiamo di Papa Francesco ai rappresentanti dei media il 16 marzo 2013:«Siate certi che la Chiesa, da parte sua, riserva una grande attenzione alla vostra preziosa opera; voi avete la capacità di raccogliere ed esprimere le attese e le esigenze del nostro tempo, di offrire gli elementi per una lettura della realtà. Il vostro lavoro necessita di studio, di sensibilità, di esperienza, come tante altre professioni, ma comporta una particolare attenzione nei confronti della verità, della bontà e della bellezza; e questo ci rende particolarmente vicini, perché la Chiesa esiste per comunicare proprio questo: la Verità, la Bontà e la Bellezza “in persona”. Dovrebbe apparire chiaramente che siamo chiamati tutti non a comunicare noi stessi, ma questa triade esistenziale che conformano verità, bontà e bellezza».
Se l’uomo post-moderno non conosce più direttamente la realtà, ma la riceve deformata dai mass-media, non è più in grado di leggervi quello che Benedetto XVI chiama «il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo», una capacità di lettura indispensabile per cogliere il ritmo e la logica della creazione senza i quali per l’uomo non è più possibile “custodire e coltivare” con responsabilità il Creato.
Purtroppo però «Quando la comunicazione perde gli ancoraggi etici e sfugge al controllo sociale, finisce per non tenere più in conto la centralità e la dignità inviolabile dell’uomo, rischiando di incidere negativamente sulla sua coscienza, sulle sue scelte, e di condizionare in definitiva la libertà e la vita stessa delle persone». (messaggio di Papa Benedetto XVI per la 42° Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali).