Invece di fomentare scontri ideologici è necessario capire che tipo di società si vuole costruire nel nostro Paese
di Francesca Lozito
"E’ proprio da finale di carriera, accompagnarsi a donne di medesima statura" cantava Fossati ne La vita segreta, in Macramé, album del 1996 così poco considerato per le invettive sociali che conteneva.
Parafrasandolo, mi verrebbe da dire che è proprio da finale di carriera continuare a parlare di Berlusconi oggi, in questo agosto col Parlamento aperto almeno per tutta questa settimana e anche noi di vinonuovo non siamo da meno (sorriso).
Non sopporto questo bla bla bla mediatico, dai giornali alle televisioni ai social. Lo dico con la serenità d’animo di una che non lo ha mai votato. E non è mai stata sfiorata dall’idea di farlo.
Si sceglie da che parte stare. E chi a metà degli anni novanta votava per la prima volta non se lo può dimenticare che cosa volesse dire non stare da quella parte. Essere derisi da molti, e perché no, in molti contesti non fare carriera. Occorre dirlo.
Eppure, proprio con la serenità d’animo di chi non è mai stata da quella parte dico che i regolamenti di conti su chi anche dentro le gerarchie ecclesiastiche ha dato appoggi, ha cercato appoggi ha avuto appoggi da quella precisa parte politica non mi piacciono. Per nulla.
Mi sanno della follia di quei partigiani che fecero dei bei pasticci alla fine della resistenza. Mi sanno di livore.
Mi sanno, soprattutto, della volontà o dell’incapacità di non riuscire a guardare avanti rispetto a un mondo che ci chiede, anche nella Chiesa, di pensare al futuro con un altro sguardo. E si rischia di perderlo il treno se si guarda ancora al 2000 con le categorie del 1900.
Mettiamo da parte tutto questo oggi, sarà la storia a dirci molte cose.
Se avessimo dato ascolto a quei partigiani la guerra civile (quella vera, non quella di Bondi) sarebbe continuata per chissà quanto. Ma c’é stata la costituente, c’é stata la sintesi mirabile tra le diverse sensibilità politiche che ha portato a questo Paese la democrazia.
Lasciamo i processi sommari a quegli immarcescibili moralisti che credono di sapere da che parte stare, che hanno sempre la parola giusta, che civettano e cinguettano perché solo quello sanno fare.
Mi perdonino i due colleghi che qui su vinonuovo ne hanno parlato: non ce l’ho con loro. Solo che non sono d’accordo. Rispetto le loro ragioni ma non trovo opportuno parlarne ora.
Questa è un’Italia che ragiona troppo per schemi, categorizzazioni, corporazioni. Io provo a ragionare col Vangelo in mano, senza farne uno strumento. Chi sono io per giudicare mio fratello? E se il fratello ha giudicato e continua a giudicare me, pazienza.
Io, piuttosto, preferisco operare per il bene comune, cogliere quei semi di bene che stanno, spesso troppo nascosti, in molte e diverse parti politiche e sociali.
Dopo anni di martellamento sulla presenza dei cattolici in politica credo sia venuto il momento, anche alla luce della fine della presenza in politica di alcuni soggetti protagonisti degli ultimi 20 anni – perché a mio modesto parere quella di Berlusconi è una lunga uscita di scena con ormai le comparse al suo fianco e per questo va ignorata – di dirci che cosa vogliamo per questo Paese.
Seguire le mode del momento? Abbracciare anche noi il movimentismo sloow food e no tav? (molti dei passaggi dell’intervista discussa a De Gregori potrebbero essere applicati ai cattolici in politica tanto quanto il cantautore li applica alla sinistra)
Svendere i nostri valori in nome di una pax con una determinata parte politica che ci usa come specchietto per le allodole? (guarda come siamo bravi, abbiamo i cattolici dalla nostra parte! Questo vale a destra e sinistra)
Ma noi cattolici che cosa vogliamo per il Paese, oggi e domani? Ma soprattuto il domani di questo Paese riusciamo a vederlo?