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Secondo l’Istat è la povertà che unisce l’Italia

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Simone Sereni - pubblicato il 26/07/13
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I dati allarmano anche il governo che mette la lotta alla povertà estrema tra le sue priorità, nonostante la crisi. Intanto, si propone un Reddito di inclusione sociale
La lotta alla povertà estrema è “una grandissima priorità” del governo. Lo ha detto il premier Enrico Letta durante il question time al Senato su debito e fisco. “La povertà estrema non ha rappresentanza, non vota” ma “il passo tra disoccupazione e povertà deve angosciare chi siede in questi banchi. Nel nostro Paese ci sono delle situazioni insostenibili” (Ansa, 25 luglio).



Un passaggio non scontato questo del Premier che arriva a una settimana dalla presentazione dei dati Istat sulla povertà in Italia. Una rilevazione sicuramente messa in secondo piano prima dal caso Shalabayeva e poi dalle gravi difficoltà del governo a ottenere un rapido passaggio parlamentare del cosiddetto decreto “del Fare”.



Eppure la fotografia scattata dall’Istat è lì incorniciata ed è un po’ impietosa. In Italia sono 9 milioni 563 mila le persone in povertà relativa, pari al 15,8% della popolazione. Di questi, 4 milioni e 814 mila (8%) sono i poveri assoluti, ossia persone che non riescono ad acquistare beni e servizi essenziali per una vita dignitosa. Quasi la metà dei poveri assoluti in Italia risiede nel Mezzogiorno. In un anno le persone in povertà assoluta sono passate dal 5,7% della popolazione nel 2011 all'8% del 2012: un record dal 2005, con un incremento da allora del 70%. Cresce il numero dei poveri tra i giovani e anche in famiglie dove c’è almeno un reddito da lavoro, soprattutto quelle 2 o più figli minori.



Moltissime le reazioni allarmate in cui più volte è risuonata la parola “disastro”. La Caritas, che da anni segnalava questa tendenza, fa sapere in particolare che “più del 29% di coloro che si rivolgono ai Centri di ascolto hanno meno di 35 anni” (Romasette, 18 luglio). Secondo l’economista Luigi Campiglio i dati Istat potrebbero addirittura “sottovalutare la realtà”; e nota che “la povertà relativa è aumentata, passando dall’11,1% al 12, 7%” pur essendosi abbassata l’asticella della povertà relativa, sottolineando che “probabilmente è la prima volta che si verifica una cosa del genere” (Il Sussidiario.net, 18 luglio).



Ma non è solo “colpa della crisi”: la spesa pubblica in questo ambito è inefficiente. Secondo una ricerca dell’Irs (l’Istituto per la ricerca sociale), l’Italia che già spende contro la povertà meno della media europea, presenta una percentuale “di riduzione del rischio di povertà dovuta ai trasferimenti sociali” pari solo al 19,7%: peggio di noi, ormai costantemente appaiati, solo la Grecia, mentre in vetta c’è l’Irlanda con un notevole 60,1% (Repubblica, 25 luglio).

È in questo contesto da “codice rosso” come lo ha definito don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana, che arriva l’iniziativa delle Associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Proprio in collaborazione con la Caritas, le Acli hanno promosso un Patto aperto contro la povertà assoluta, rivolgendosi a istituzioni, forze sociali e soggetti del terzo settore disponibili; e hanno proposto una nuova misura di contrasto alla povertà assoluta, il Reis, Reddito di inclusione sociale (www.redditoinclusione.it), frutto di un anno di lavoro di un gruppo di studiosi guidato dal professor Cristiano Gori dell’Università Cattolica di Milano.



Si tratta di una misura nazionale rivolta a tutte le famiglie in povertà assoluta e si compone di un mix di sostegno al reddito e servizi, gestito a livello locale da comuni e soggetti del terzo settore. Può essere inserito gradualmente e costerebbe 900 mila euro per il primo anno e a regime – dal 2017 – intorno ai 6 miliardi di euro. Il gruppo di lavoro ha ipotizzato una serie percorsi per il finanziamento di questa riforma, rinvenendo potenziali risorse per almeno 13 miliardi di euro. Il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Giovannini ha accolto molto positivamente la proposta che ha definito “seria e concreta”, impegnandosi con i proponenti a stilare insieme un piano di intervento di medio termine da inserire nella prossima Legge di stabilità, a settembre. Sempre che il Governo tenga.

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