A margine del caso Shalabayeva, un passaporto discusso e una richiesta di espatrio negato offrono uno spiraglio per ricordare anche alle sorti del Paese africanoPersino sul treno dei pendolari si parla del “caso Shalabayeva”. Rilanciando, con qualche personalizzazione, le informazioni e i punti di vista rimbalzati in questi giorni sui media, vecchi e nuovi, un uomo e una donna sembrano sapere tutto di oligarchi kazaki, congiure internazionali, espulsioni facili e degli imbarazzi del governo Letta.
La storia è quella di Alma Shalabayeva, la moglie del kazako Mukhtar Ablyazov, fuggito dal suo Paese nel 2009 perché inviso al presidente (dal 1990) Nursultan Nazarbayev. Su Ablyazov c’è un mandato di cattura internazionale emesso dal Kazakistan per una presunta sottrazione di 4,6 milioni di euro dalla banca Bta di cui è stato presidente. La notte del 29 maggio scorso 50 uomini della Digos, su segnalazione delle autorità kazake che vi indicavano la presenza del “terrorista” in fuga, fa irruzione in una villetta della zona di Casal Palocco, a Roma. Vi trovano però la signora Alma e la figlia Alua, 6 anni, ma non il ricercato. Alla fine di una serie di avvenimenti ancora da chiarire, la signora Alua viene espulsa e rispedita in Kazakistan. Ma i tratti oscuri della vicenda vengono fuori e alla fine l’Italia si scusa e annulla l’espulsione; ma questo non gli evita di far una pessima figura internazionale che per ora è costata le dimissioni di alti funzionari del ministero ma di nessun responsabile politico. Il premier Letta ha infatti confermato la dichiarata estraneità del suo vice, e ministro dell’Interno, Alfano. Non è chiaro a questo punto se si tratti di una nota di merito o di un’ammissione di responsabilità politica persino peggiore.
Solo a margine di una crisi politica e diplomatica molto seria per l’Italia, ma assolutamente al centro della storia della signora Shalabayeva, un passaporto diplomatico emesso dalla Repubblica Centrafricana, prima considerato falso poi dichiarato valido dal tribunale di Roma.
In base al rapporto presentato il 16 luglio dal capo della polizia, il prefetto Pansa, tra le altre cose emerge che “le richieste formulate dalla Shalabayeva sulla volontà di essere espulsa verso la Repubblica Centrafricana, difficilmente potevano essere accolte se si considera che si tratta di un Paese per il quale l’Unhcr sconsiglia i rimpatri forzati”.
Il grande pubblico italiano può così apprendere tra le altre tre cose: che le nostre forze di sicurezza si sono fidate, apparentemente senza verifiche proprie, delle autorità di un Paese “discusso” per compiere un’operazione di polizia molto delicata; che però sono assolutamente in grado di verificare con una fonte terza, un organismo Onu che si occupa di rifugiati, le basi per un’altra decisione delicata; e, infine, che in Centrafrica le cose non devono andare proprio benissimo. Tutto questo, grazie ad Alma Shalabayeva.
In effetti, purtroppo, la situazione nella Repubblica centrafricana, un Paese già tra i più poveri in assoluto sul pianeta, è precipitata lo scorso 24 marzo. Un colpo di Stato ha deposto il presidente Bozizé, lasciando molte aree del Paese senza una reale autorità riconosciuta e quindi in preda a vari gruppi di mercenari, per lo più ciadiani e musulmani, attivatisi per il golpe. Intervistata su Radio Vaticana da Fabio Colagrande (16 luglio), lo testimonia suor Elvira Tutolo, missionaria italiana di Termoli, da 12 anni in Centrafrica in una zona forestale e di sfruttamento minerario che ha al centro la città di Berberati, la seconda del Paese. “Siamo in una situazione di stasi” in cui gli episodi di violenza ora “sono rari, ma la situazione è peggiorata dal punto di vista economico e sociale”; perché “qui non ci sono nemmeno più i farmaci di prima necessità” e quindi “non c’è alcuna possibilità di cure. I bambini malnutriti sono una enormità”. Inoltre “molte famiglie, quando si sparava, hanno lasciato la città per andare nella foresta: nella foresta sono stati però letteralmente aggrediti dalle zanzare: adesso, il paludismo celebrale se li porta via in dieci minuti”. Se l’attenzione ora si potesse spostare da Astana, a Bangui…