Intervista al professor Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica a Roma-Tor VergataLa crisi economica ci spinge a cercare risposte e motivazioni al disagio e agli sforzi che vengono compiuti per il risanamento. Sempre di più nel dibattito pubblico si sono affermati concetti come quello del “signoraggio bancario”, una formula che sembra risolvere in una sorta di teoria del complotto le difficoltà affrontate dai Paesi europei e non solo di fronte alla crisi finanziaria e a una teorica perdita di sovranità nazionale. Aleteia ne ha parlato con il professor Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica presso l'Università di Roma “Tor Vergata”, e direttore del Think tank delle Acli, la Fondazione “Achille Grandi per il Bene Comune”.
Professor Becchetti, in estrema sintesi che cos'è il “signoraggio bancario”?
Becchetti: Si tratta di un tributo che i governi raccolgono collegato al ruolo monopolista che hanno nella stampa della moneta. La natura del contributo ha avuto un’evoluzione nel corso del tempo e oggi è prevalentemente rappresentata da un interesse fruttifero che le banche centrali maturano quando prestano la moneta che stampano alle banche commerciali. I proventi del signoraggio sono poi di fatto ripartiti nell’area Euro tra Governi e Banche Centrali.
Questo meccanismo è davvero una “minaccia” per l'economia italiana o europea?
Becchetti: Penso che il vero problema che c’è dietro il signoraggio è quello dell’accountability delle Banche Centrali che oggi hanno un ruolo sempre più importante. Creando la moneta sono di fatto l’istituzione più potente ed influente nella vita economica di nazioni e continenti. I governi possono raccogliere tasse in tutti i modi possibili (dal reddito, dai consumi, sulle proprietà). Si può poi discutere se le tasse sono più o meno eque o progressive. Le tasse sono percepite come accettabili quanto più i contribuenti danno una valutazione positiva alla gestione del bilancio pubblico e alla capacità dei governi di produrre beni e servizi pubblici utili per i cittadini. Anche il ruolo della banca centrale può essere percepito come più o meno valido. Non possiamo ignorare che senza gli interventi delle banche centrali che si sono caricati sui propri bilanci molti titoli spazzatura sarebbe stato impossibile salvare il sistema finanziario dal collasso dopo il fallimento della Lehman Brothers.
Il funzionamento della Banca d'Italia prima e oggi di quella europea, è utile all'economia del nostro Paese? Gli interessi prevalenti sono quelli pubblici oppure, come sostengono alcune forze politiche, si tratta di una falsità?
Becchetti: La questione è complessa. Prima del divorzio tra Banca Centrale e Governo in Italia l’offerta di moneta della Banca Centrale era condizionata dal Governo e in parte subordinata all’acquisto di titoli di Stato e alla copertura del debito pubblico. Si è poi ritenuto che questa dipendenza fosse dannosa e generasse un aumento abnorme del debito e della spesa pubblica. La virtù della Banca Centrale è diventata quella dell’indipendenza dai Governi. Oggi di fatto, nei Paesi ad alto reddito, con i debiti pubblici alti e i limiti delle politiche fiscali la leva monetaria è diventata una delle vie più importanti per ottenere obiettivi macroeconomici. Il grado di indipendenza di molte Banche Centrali si è dunque nuovamente ridotto, soprattutto in Giappone e negli Stati Uniti, dove le pressioni dei Governi hanno indotto le Banche Centrali a non avere come unico obiettivo la lotta all’inflazione ma ad aggiungere a questo la lotta alla disoccupazione e lo stimolo all’economia (cosa tra l’altro già prevista negli statuti della FED negli USA). La nostra Banca Centrale non è più indipendente ma fa parte del sistema dell’euro dove per ora la BCE ha mantenuto un forte grado di indipendenza. Che in questo momento sta avendo un ruolo a mio avviso positivo perché con un atteggiamento più espansivo contrasta l’eccesso di rigore delle politiche di bilancio comunitarie.
La vera questione dunque non è quella della liceità o meno del signoraggio ma del potere enorme che le Banche Centrali oggi hanno e della loro “autoreferenzialità tecnocratica”. Ribalterei però il problema sul lato dei cittadini a questo punto: l’opinione pubblica è in grado di formarsi un’opinione matura e competente sulle complessità della politica monetaria? Dobbiamo pertanto a mio avviso procedere in due direzioni: da una parte comportamenti e scelte delle Banche Centrali devono diventare sempre più trasparenti ed essere comunicati all’opinione pubblica; dall’altra l’opinione pubblica deve fare uno sforzo importante di formazione se vuole poter avere maggior voce in queste scelte. Si tratta in altri termini di decidere se far circolare più o meno moneta nel sistema e attraverso quali meccanismi. Potremmo porci il problema in un prossimo futuro, se le Banche Centrali manterranno l’indipendenza dalla politica, se i banchieri centrali non debbano essere eletti da una cittadinanza matura e capace di entrare nel merito delle questioni finanziarie.
Secondo lei l'Italia ha sbagliato ad entrare nell'Euro?
Becchetti: Al momento del nostro ingresso l’Euro ci ha portato importanti benefici dal lato finanziario (con un effetto sugli spread uguale e contrario a quello osservato nella recente crisi finanziaria). Il problema dell’Euro oggi è l’orientamento troppo restrittivo e rigorista delle politiche fiscali dell’Unione Europea non l’Euro in sé. Rispetto alle scelte strategiche degli altri Paesi ad alto reddito, Fiscal Compact e pareggio di bilancio sono camicie di forza che rischiano di far precipitare l’UE in una spirale di recessione e crollo della domanda (non solo il Sud ma anche il Nord dell’UE). Il fondato rischio a mio avviso è che l’Euro rischi di non sopravvivere se si persevererà nell’errore perché le politiche troppo rigoriste, in presenza di moneta unica e di nazioni che hanno caratteristiche economiche diverse, producono effetti esplosivi. I segnali di rinsavimento ci sono ma sono troppo timidi.
In sostanza è come se l’Italia fosse salita su un pullman per percorrere un lungo viaggio. Sul pullman si succedono diversi autisti e all’inizio la guida è piacevole e veloce. L’ultimo autista salito a bordo però fa molti errori e i passeggeri cominciano a rimpiangere di esserci saliti. Il problema non è il pulmino ma l’ultimo autista che si è messo alla guida.