Piena collaborazione della Santa Sede dopo l’arresto di un prelato del Vaticano, mons. Nunzio Scarano, insieme a un ex funzionario dei servizi segreti e a un broker Si sono riaccesi i riflettori sullo Ior, l’Istituto per le opere di religione, dopo l'arresto di mons. Nunzio Scarano, salito all'onore della cronaca con il nomignolo di “monsignor 500”, responsabile del servizio di contabilità analitica dell'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), l'organismo che gestisce i beni della Santa Sede. Al centro della vicenda giudiziaria un accordo tra Scarano e un ex 007 Giovanni Maria Zito, sottoufficiale dei Carabinieri espulso dall’Aisi tre mesi fa, finalizzato a far rientrare dalla Svizzera 20 milioni cash di proprietà di alcuni amici del monsignore, che coinvolgerebbe anche un broker finanziario, Giovanni Carinzo.
Torna quindi a far parlare di sé la cosiddetta “banca vaticana”, più volte al centro degli interessi dei giornalisti e non solo per i tanti misteri che la avvolgono: dai conti coperti, ai depositi d'oro, al mistero della morte di Calvi, di Sindona e di papa Luciani, alla cacciata del presidente Ettore Gotti Tedeschi, al ruolo di Andreotti, fino ai “corvi” e alla convulsa vicenda Vatileaks. Misteri che il vaticanista Aldo Maria Valli ha un po' lasciato sullo sfondo del suo volume Il forziere del papa. Storia, volti e misteri dello IOR, edito da Ancora, in cui racconta la storia di questo Istituto e lo sforzo dei papi di far fronte alle necessità economiche della Santa Sede.
Ma perché – è la domanda da cui muove Valli – se Gesù ha scacciato i mercanti dal tempio, la Chiesa cattolica si è fatta “soggetto e strumento di affari davvero poco compatibili con il Vangelo”? Nel suo excursus storico il vaticanista spiega che finché esisteva lo Stato pontificio, il papa e la Chiesa si mantenevano con le tasse, la terra, i commerci, i possedimenti, le proprietà, le donazioni e i relativi investimenti. Fu però in seguito alla nascita dello Stato della Città del Vaticano l’11 febbraio del 1929, che nacque il bisogno di trovare nuove fonti di sostentamento. In particolare all’indomani della firma dei Patti Lateranensi, quando il Vaticano ricevette un’ingente somma di denaro come indennizzo per la perdita dei territori pontifici e del potere temporale, divenne urgente scovare un posto in cui mettere il denaro e un modo per investirlo. E, assieme al problema, vennero le tentazioni.
Nacque così lo Ior, insieme ad altre amministrazioni e organismi vaticani. Ma di cosa si occupa lo Ior? Innanzitutto, con l'espressione “opere di religione e carità” si possono intendere le eredità lasciate al papa o al Vaticano da un qualunque fedele, oppure i redditi derivanti da proprietà di una qualsiasi diocesi di un qualsiasi Paese, oppure ancora risorse di congregazioni, ordini religiosi e altre realtà della Chiesa cattolica.
Per statuto, lo Ior non è vincolato alle normative di altri Paesi, in particolare dell’Italia, né a quelle internazionali. E' definito come “istituto privato” e formalmente non fa parte della Santa Sede, anche se la sua sede è nella città del Vaticano ed è stato creato con un documento autografo papale. I fondi depositati non sono della Santa Sede e l’istituto ha bilanci propri e una sua amministrazione. Non ha fini di lucro, non ci sono conti cifrati, tutte le operazioni sono tracciabili per dieci anni, il bilancio è controllato da una società esterna, non ci sono rapporti con banche offshore e le operazioni sospette vanno indicate alle autorità competenti; il suo ruolo non si allontana molto da quello del promotore finanziario: investire e ancora investire, cercando di minimizzare i rischi e massimizzare i guadagni, limitare gli investimenti azionari, privilegiare gli obbligazionari, tenersi alla larga da futures e derivati.
Lo Ior amministra risorse, ma non concede finanziamenti, per lo meno in via normale. A volte esegue “prestanze”, come vengono chiamate, ma si tratta di casi eccezionali. Per esempio, per sovvenzionare a fondo perduto una missione in Africa. Per far avere i soldi a chi ne ha bisogno, si appoggia alle maggiori istituzioni bancarie internazionali, le quali a loro volta utilizzano poi banche locali. Accetta assegni di qualunque provenienza, ma paga in contanti (quasi sempre in euro, qualche volta in dollari) oppure emette assegni circolari su altre banche. La maggior parte delle transazioni, in ogni caso, avviene attraverso bonifici bancari.
Chi può aprire un conto allo Ior? Per aprire un conto bisogna essere un prete, un religioso o una religiosa, un nunzio o un dipendente (anche pensionato) della città del Vaticano, un diplomatico straniero in attività presso la Santa Sede o un membro della “famiglia del pontefice”, termine con il quale si designa chi ha ricevuto onorificenze pontificie.
“Circa la metà dei depositi, 15 mila, è intestata a sacerdoti e oltre 1600 a vescovi – scrive Valli –. La quasi totalità dei cardinali (a oggi sono circa 210, tutti cittadini vaticani di diritto) è cliente. Espressamente vietati sono i conti cifrati, i prestanome e le cointestazioni. Del patrimonio complessivo dello Ior, circa l’ottanta per cento – sono sempre dati del documento Moneyval – è riferibile a fondazioni, ordini religiosi, conferenze episcopali, collegi e monasteri sparsi per il mondo. I titolari di depositi sono circa 33 mila, in gran parte europei. Due su tre provengono dall’Italia. Tra le nazioni più rappresentate, dopo l’Italia ci sono, nell’ordine, Polonia, Francia, Spagna e Germania. Il bilancio e tutti i movimenti che vengono fatti dall’istituto sono noti solo ed esclusivamente al papa, al collegio dei cardinali che lo gestiscono, al prelato dell’istituto, al consiglio di sovrintendenza, alla direzione generale e ai revisori dei conti”.
Per chiudere con una curiosità: normalmente il papa non ha un conto corrente presso lo Ior. Può averlo avuto come cardinale, ma il pontefice deve rinunciare ai beni terreni e quindi anche al conto corrente.
Un volume quindi quello di Valli che punta a dipanare il filo a volte contorto della storia dello Ior e a fornire chiavi di lettura utili a comprendere anche ciò che accadrà in futuro. E, visti i primi cento giorni di papa Francesco, è molto probabile che in Vaticano vedremo presto scrivere una pagina totalmente nuova sull’argomento.