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“Dio stesso ha paura della perfezione nell’essere umano”

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padre Renato Zilio - pubblicato il 28/06/13
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La ricerca smodata della perfezione rinchiude nel cerchio dell’io, congiura contro l’amore, soffoca quell“io” in costante movimento verso un “tu”A mezza costa della montagna, ai bordi del deserto, un antico monastero. Un monaco, seduto davanti alla porta, là da tempo, sembrava aspettare qualcuno. Era immobile. Quasi per accogliere la brezza leggera che di solito a quell’ora si presentava…Pensava. Forse pregava. O, semplicemente, faceva la preghiera più povera e più pura che una creatura possa rivolgere al suo Creatore: respirava. Il soffio dell’uomo, in ogni credenza, serba misteriosamente qualcosa di sacro. Mi vide, ma non si mosse. Dopo le prime parole e il primo silenzio, continuò: «Se cerchi la perfezione, come molti fanno, sarà inutile il tuo cammino. La perfezione conosce Dio, ma solo di passaggio. Parte da te e, passando attraverso di lui, termina ancora in te stesso. Continuamente ti guarderai allo specchio per vedere se l’hai raggiunta o se, per caso, essa ti ha abbandonato per qualche istante. La perfezione ti farà schiavo di te stesso, mettendoti al centro di tutto. Essa non accetta il tuo limite, ma vive del mondo che sogna e coniugando il condizionale, il tempo della non realtà, ti farà sospirare continuamente: “Io vorrei, io dovrei…”. Così, ti farà appoggiare la tua vita sul vuoto. All’inizio e alla fine del tuo cammino non ci sarai che tu, l’essere umano che sei. Non il Dio che cerchi».

“È vero”, mi dicevo, riflettendo queste prime parole, “l’educazione alla perfezione, al sacrificio e alla volontà mi hanno incamminato in un sentiero che non porta che a se stessi e al controllo continuo dei propri passi”. «In tutto quello che fai, invece», riprendeva sicuro il monaco, «ama. L’amore parte da Dio, coinvolge l’uomo e finisce in lui. E Dio creò l’uomo perché questi sappia amare, così solamente in questo l’essere umano troverà la propria felicità. In fondo, unicamente quando si ama si rivela agli altri la propria bellezza. Ma poiché è facile dimenticarsene, Dio stesso diede un esempio e fu un esempio così grande da non poter mai più essere dimenticato: amare il proprio nemico e perdonare, come lui fece, chi lo stava uccidendo… Era l’unico modo per far cadere la sfida della violenza e portare l’avversario in un terreno dove chiunque non avrebbe potuto che perdere. L’amore sconfigge anche la morte. Resiste nel cuore di chi ama, anche dopo il suo passaggio». 

Lo seguivo con attenzione. Pensavo a qualcuno la cui presenza, da allora, si era fatta in me più viva. Ma, subito, riprese: «Ma se non c’è un altro per cui perdere la vita o a cui donarla, allora la tua esistenza non ha senso. Amare, poi, è il cammino più personale che tu possa fare. Ognuno ama con la forza che possiede, con i limiti che l’accompagnano e con la grandezza di cuore che ha saputo coltivare. A differenza della perfezione, però, l’amore parlerà sempre di Dio e del suo modo così umano di rivelarsi. In fondo, Dio stesso ha più paura della perfezione nell’essere umano che della sua stessa cattiveria, perché questa fa meno resistenza all’amore».
 

«Se si ama veramente non si può non essere creativi ed è come quando si cambia vestito: lo fai perché ami il tuo corpo e lo sguardo dell’altro che si posa su di te. Anche se, in fondo, sei sempre tu, è come farti riscoprire ancora nuovo ed è ricordare agli altri un aspetto di te forse dimenticato. La ripetizione, invece, che si fa banale, uguale a se stessa, uccide il gusto delle cose, ma soprattutto il valore interiore: essa diventa facilmente automatismo esteriore».
 

«In fondo, sono solo le cose e gli oggetti che possono ripetersi, accumularsi o contarsi. Tu, invece, hai un nome, un volto e un cammino, che sono unici per te. La tua responsabilità e la tua libertà faranno di te veramente te stesso: per questo potrai dire “io”. Ma chi dice “io” desidera profondamente potere aggiungere subito “tu” a qualcuno. Così, il volto di un essere umano sogna di trovarsi davanti a un paesaggio, a una vetta di montagna, a qualcosa di bello, ma ancora di più ama incontrare un altro volto – la superficie più espressiva sulla terra – per potersi esprimere. E leggervi, di ritorno, l’espressione dell’altro. Esprimersi è entrare in relazione e la relazione con l’altro che ami è come prendervi strettamente tra le braccia e roteare su voi stessi come in un vortice, in una danza che tutto travolge. Danzeranno, allora, il cielo e la terra, le montagne, le piante, la vostra origine e il vostro destino in un dinamismo prima sconosciuto. E poi, cadendo al suolo sull’erba, direte finalmente “noi”. Così, costruirete insieme un mondo nuovo!».
 

«Ma quando avrai da incontrare qualcuno sarai attento alla disponibilità del tuo cuore. Guardati bene dal non farlo venire per il sentiero calpestato già da altri, dalle loro dicerie o dalle loro insinuazioni. Lascialo venire liberamente per dove l’erba è ancora alta, non importa se avrà difficoltà ad avanzare. Il vostro rapporto, infatti, dovrà nascere con il sapore della novità, non calpestato dal pregiudizio. Hai davanti un essere umano e qualsiasi persona, segretamente, ha il desiderio di poter rinascere con te e, al tuo sguardo, sentirsi rinnovata e amata».
 

«Così Lui, quella volta, al pozzo di Samaria. Lasciò venire a sé una donna, senza per nulla giudicarla, ma conosciuta da tutti come prostituta. Con lui ella imparò a essere così differente e seducente da condurre alla fontana tutti gli abitanti del suo villaggio per dissetarsi alle parole di uno straniero. E capire che con lui era giunta la salvezza di Dio, in grado di far sempre rinascere chiunque lo desideri. Un incontro vero, infatti, non è mai un sentirsi giudicare, ma un sentirsi invitare a mettersi in cammino… Un essere umano è sempre accompagnato dal suo mistero e dalla possibilità misteriosa di trasformarsi. Di convertirsi. Con l’aiuto di chi viene da fuori o da lontano».
 

«Sii sempre pronto, allora, a uscire dai sentieri che conosci, dal villaggio che ami o dalle abitudini che a ogni passo ti accompagnano. Qualsiasi straniero che incontri, infatti, come a Emmaus ti rivela quanto limitato fosse prima il tuo cuore e quanto differente, vasto e profondo potrebbe essere il tuo sguardo. Occorre, però, il suo aiuto o una presenza che ti accompagni almeno per un tratto».
 

Venne un lungo respiro. Il suo silenzio, dopo la parola, era sempre un grande insegnamento, era un invito forte e discreto a riviverla dentro, a passare dall’ascolto all’accoglienza del cuore. E continuò: «La diversità che troverai nell’altro sarà proprio ciò che nasconderà il suo valore, perché la differenza in un essere umano e la sua originalità saranno il fondamento della sua stessa personalità. Anzi, avvicinandoti, senza paura, dovresti incoraggiarlo: “Sii quello che sei!”. «Le diversità fra gli uomini sono immagine di Dio, che si vuole simile e differente in lui stesso. Così, la comunione non nasce mai dalla somiglianza o dall’omogeneità, ma sorge piuttosto dalla meraviglia di vedersi differenti. Tu sei unico al mondo, ma non sei solo, sei originale come una mano e la sua impronta. Tutto sarà contro di te, siine certo, per fartelo dimenticare. Impara ad amare, invece, la tua originalità. Sii fedele al tuo cammino, differente da quello di qualsiasi altro. Non fare perché altri fanno… Tu agisci, invece, perché ami profondamente: solo così, trasformerai il mondo e te stesso».
 

Nel silenzio, allora, cominciarono a risuonarmi queste ultime parole. Riconoscere nella propria storia un cammino, semplice e grandioso nonostante tutto, fatto con Dio. Ed era lo stupore di riconoscersi finalmente quell’essere vivente e originale che si è diventati. Lentamente ne assaporavo il senso. Come l'addio più intenso, più forte fra esseri umani che si lasciano.

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