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Usa: sentenza su nozze gay, un giorno tragico per la nazione

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 27/06/13
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«La Corte Suprema ha sbagliato», la reazione dei vescovi statunitensi alla bocciatura della legge che definisce il matrimonio come unione di un uomo e una donnaE' una sentenza enorme, quella pronunciata mercoledì dalla Corte Suprema americana che si è espressa a maggioranza, 5 voti contro 4, circa l'abolizione del DOMA (Defence of Marriage Act), la legge federale che sospendeva la solidarietà interna agli Stati che compongono gli USA circa il riconoscimento dei matrimoni (civili) tra persone dello stesso sesso, attualmente in vigore in 12 Stati su 50 (Avvenire, 27 giugno).

Al di là del dato “tecnico”, che riguarda una cultura giuridica diversa, è l'aspetto antropologico e morale della sentenza che interroga i credenti e i non credenti. I sondaggi dicono che il 53% degli americani è favorevole, che comunque corrisponde ad uno su due, esattamente come accade in Francia. In entrambi i Paesi – tuttavia – si è aperto un dibattito pubblico su questi argomenti e si è formata una conoscenza (e una coscienza) reciproca sulla questione. I vescovi americani lo hanno detto senza mezze misure per bocca dell'arcivescovo di New York Timothy Dolan (tra i grandi elettori di papa Francesco): “E' un giorno tragico per il matrimonio e per la nostra nazione, la Corte Suprema ha sbagliato” (Vatican Insider, 26 giugno).

La scelta della Corte apre una tematica nel rapporto tra Stato e Chiesa, ma in generale sul limite che il diritto positivo deve avere rispetto a quello naturale. La nota dei vescovi americani ribadisce questo tema: “La salvaguardia della libertà e della giustizia esige che tutte le leggi, federali e statali, rispettino la verità, inclusa la verità sul matrimonio […]. Il bene comune di noi tutti, specialmente dei nostri bambini, dipende da una società che si impegni ad affermare la verità del matrimonio. Ora è tempo di raddoppiare i nostri sforzi nel testimoniare questa verità. Queste decisioni sono parte di un dibattito pubblico che avrà grandi conseguenze. Il futuro del matrimonio ed il benessere della nostra società sono in pericolo”. E rammenta che dal riconoscimento e dunque dal concetto di famiglia che si ha, discende una idea di società, di relazioni interpersonali e di educazione, una questione per molto – troppo – tempo lasciata alla prassi, alla consuetudine e non al pensiero e alla meditazione: “La nostra cultura ha dato per scontato troppo a lungo ciò che la natura umana, l’esperienza, il senso comune e il sapiente progetto di Dio confermano: che la differenza tra un maschio e una femmina è importante, e che la differenza tra una mamma e un papà è importante. anche se la cultura ha mancato molte volte nella sua opera di rafforzamento del matrimonio, questa non è una ragione per arrendersi. Ora è tempo di rafforzare il matrimonio, non di snaturarlo” (Comunicato della USCCB – Conferenza Episcopale degli Stati Uniti d’America 26 giugno).

Ed è sulle mancanze anche della teologia cristiana che si sofferma oggi, nel commento alla sentenza, Il Sussidiario (27 giugno) con un fondo di Lorenzo Albacete, che sostiene che se si sottrae all'equazione del diritto naturale il concetto di Grazia, in una società secolarizzata come la nostra, l'apertura del matrimonio “tradizionale” verso quello gay è consequenziale. Il nesso logico è il percorso fatto dal diritto positivo dal divorzio all'aborto, che lentamente hanno accompagnato il diritto di famiglia in Occidente, proprio mentre le chiese difendevano il “matrimonio puramente razionale”, quello cioè svincolato dall'opera di Dio e della Grazia, e affidato alle leggi dello Stato e alla volontà dei coniugi. Ma se c'è un senso nel sacramento, è che esso è la richiesta di una protezione a Dio di un vincolo che non può reggere sulla sola volontà dei contraenti. Questo avvenimento tuttavia è “occasione di una nuova spinta di evangelizzazione”. Le conseguenze della separazione della vita da Cristo è sempre più chiara.

Secondo il giurista, Carlo Cardia, intervistato dalla Radio Vaticana (26 giugno), la sentenza della Corte Suprema americana: “rompe con una tradizione mantenuta, conservata, rinnovata, nelle carte internazionali dei diritti umani. Il rischio che noi abbiamo è che si vada ad uno stravolgimento dei diritti umani perché in queste carte internazionali noi vediamo l’eco della concezione che esiste da sempre del matrimonio come fondamento della famiglia. Proprio nell’unione fra uomo e donna c’è il principio ontologico, la base, il fondamento della famiglia. E’ questo che scompare completamente dalla pronuncia americana. Il rischio è che dalla pronuncia americana si abbia una spinta per cambiare anche le carte internazionali dei diritti umani” un verdetto che – secondo il giurista – in sostanza porta ad “uno stravolgimento completo della realtà antropologica dell’istituto matrimoniale e famigliare”.

 

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