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Magris, una traccia di frontiera

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Simone Sereni - pubblicato il 20/06/13
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Il tema di maturità sullo scrittore friulano scatena ironia e polemica nel web. Ma affronta un argomento chiave nel rapporto tra fede e cultura
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“Magris, chi?” è stato il tormentone nel web sin dal mattino della prima giornata del fatidico esame di maturità. Tra le tracce possibili per il tema è spuntata infatti l’analisi di un testo di Claudio Magris, germanista, scrittore ed editorialista del Corriere della Sera; per l’esattezza la prefazione a un suo libro del 2005, L’infinito viaggiare.

“Ma chi lo conosce?” e poi: “chi ha scelto la traccia è uno snob, non conosce la scuola” o “non tiene conto dei programmi”. Questa la linea prevalente nei commenti, dagli studenti ai vip; e Magris è schizzato subito nei trend topic di Twitter per tutto il giorno, fino alla prima posizione. Lo scrittore – raggiunto all’estero – travolto dall’inattesa popolarità ha detto: “Sono ovviamente onorato di questa scelta. Ora chiedo l’indulgenza degli studenti, e spero non mi maledicano mandandomi a quel paese” (Ansa, 19 giugno). Appunto.

Il testo (e il tema) proposto in realtà è molto bello e affronta un argomento attuale e importante anche per il rapporto tra fede, cultura e contemporaneità: quello della “frontiera” e con esso quello della “identità”. Scriveva Magris nella ormai notissima prefazione che “non c’è viaggio senza che si attraversino frontiere”; frontiere da oltrepassare e anche amare “in quanto definiscono una realtà, un’individualità, le danno forma, salvandola così dall’indistinto – ma senza idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue”.

Proprio di recente papa Francesco ha affrontato questo argomento nel suo discorso alla comunità degli scrittori de La Civiltà Cattolica, la storica rivista dei gesuiti “che ha un particolare legame con il Papa e la Sede Apostolica”. Il pontefice ha suggerito ai religiosi e redattori della rivista tre parole “che possono aiutarvi nel vostro impegno”: dialogo, discernimento e frontiera. Francesco, ricordando che “la frattura tra Vangelo e cultura è senza dubbio un dramma”, ha invitato i redattori ad accompagnare “con le vostre riflessioni e i vostri approfondimenti, i processi culturali e sociali, e quanti stanno vivendo transizioni difficili, facendovi carico anche dei conflitti. Il vostro luogo proprio sono le frontiere”. Ma senza cadere “nella tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle”.

Tornando a Magris, egli non solo ne scrive ma impersona la “frontiera”. Nato in una “terra di mezzo”, Trieste, nella mitteleuropa che trasuda dai suoi testi, è un intellettuale laico, che come lui stesso ha scritto più volte “non vuol dire affatto, come ignorantemente si ripete, l’opposto di credente (o di cattolico)” (Corriere della Sera, 20 gennaio 2008). Fa frequente riferimento al cristianesimo e alla dottrina sociale della Chiesa; non di rado ne ha difeso pubblicamente valori e spiritualità. Suo per esempio uno dei commenti più lucidi tra quelli contrari alla nota sentenza della Corte europea di Strasburgo – in seguito annullata – che impose la rimozione dei crocifisso da una scuola di Abano terme (Corriere della Sera, 7 novembre 2009). Nota anche la sua collaborazione con il cardinal Ravasi alla costruzione del film di Ermanno Olmi, Il villaggio di cartone.

Frontiera e identità sono due temi che Magris ha esplicitamente trattato in un saggio di recente pubblicazione, “Le frontiere dell’identità”, all’interno de La sapienza del cuore, il volume con cui Einaudi ha festeggiato i settantant’anni di Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose. Nel libro “sono riuniti oltre 130 interventi di personalità” che oltre a Magris “vanno dal cardinale Gianfranco Ravasi” ai teologi “come Christoph Theobald, Maria Ignazia Angelini, François Boespflug, Bruno Forte e Mariano Crociata” (Avvenire, 2 maggio). Ha scritto in questa occasione Magris: “Talora la ricerca d’identità si affida a un processo di sottrazione: l’io non risulta dalla somma delle cose che è o fa (…) ma piuttosto quello che resta dopo aver messo da parte le sue componenti accidentali”.

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