L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali (Irc) innesca ciclicamente polemiche ideologiche. Ma deve effettivamente confrontarsi con un’Italia che cambia
P { margin-bottom: 0.21cm; }A:link {L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali e la condizione degli insegnanti di religione dentro il sistema-scuola sono oggetto di polemiche periodiche. Cicliche, come la scuola. Ma le questioni che varrebbe davvero la pena discutere restano solo sullo sfoPrima dell’ultima campanella, l’occasione per celebrare il rito è stata la petizione indetta da uno dei sindacati degli insegnanti di religione, lo Snadir, per chiedere al governo Letta la piena attuazione della legge 186/2003 che definisce lo “stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado”.
L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali e la condizione degli insegnanti di religione dentro il sistema-scuola sono oggetto di polemiche periodiche. Cicliche, come la scuola. Ma le questioni che varrebbe davvero la pena discutere restano solo sullo sfondo.
Prima dell’ultima campanella, l’occasione per celebrare il rito è stata la petizione indetta da uno dei sindacati degli insegnanti di religione, lo Snadir, per chiedere al governo Letta la piena attuazione della legge 186/2003 che definisce lo “stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e delle scuole di ogni ordine e grado”. Di qui lo spunto per qualcuno per rinverdire un armamentario di considerazioni scandalizzate sulla presenza dell’Irc insieme a qualche inesattezza. Accanto all’osservazione che “cala la frequenza all'ora di Irc”, tra le altre cose si fa notare che “gli insegnanti di religione risultano privilegiati rispetto ai loro colleghi. Hanno retribuzioni mediamente più alte e canali preferenziali per entrare a ruolo” perché “la lista degli insegnanti di Irc che passano il concorso viene vagliata dalla diocesi” (Uaar, 1 giugno).
Sul calo della frequenza dell’ora di religione, l’ultimo “rapporto della CEI per l’insegnamento della religione cattolica attestava che i frequentanti in Italia erano l’89,8%” ossia per la prima volta sotto il 90% (dati 2011). Mentre, per esempio, nel 2012 almeno nella città di Milano è stato registrato in controtendenza un piccolo aumento delle presenze, con un +2,66% (Uccronline.it, 12 maggio).
Poi affrontiamo le inesattezze. “Non è esatto che la lista degli insegnanti di Irc che passano il concorso venga vagliata dalla diocesi – spiega Gilberto Borghi, insegnante di religione e recentemente autore del libro Un Dio inutile, proprio sulla sua esperienza a scuola –. La diocesi e il provveditore devono trovare un accordo sulla collocazione del docente e la firma finale di tale decisione spetta all’ufficio scolastico regionale. E non è vero che abbiamo canali preferenziali per entrare a ruolo. Siamo gli unici ad avere affrontato un concorso che verteva sulle norme giuridiche che regolamentano la scuola. Se si intende che io posso andare ad insegnare, ad esempio filosofia, più facilmente di uno che è laureato in filosofia, e che non è ancora nella scuola, va chiarito che io lo posso fare come lui solo se ho l’abilitazione in filosofia (cosa che richiede un concorso) e gli anni di insegnamento di religione mi valgono la metà. Infine, è falso che abbiamo retribuzioni mediamente più alte: proprio la legge del 2003 stabilisce che il trattamento economico è identico agli altri docenti”.
Al netto delle polemiche pretestuose, resta aperta e anche stimolante la questione della modalità di presenza nella scuola pubblica da parte dell’insegnante di religione cattolica, in un quadro che è cambiato rispetto a 30 anni fa: “Non bisogna opporre – dice il professor Borghi – a questo laicismo alla francese un confessionalismo altrettanto escludente, e pregiudiziale, solo di segno contrario. Lo spazio pubblico è tornato a parlare di fede, ma ne parla in modo assolutamente trasversale rispetto a qualsiasi confessione religiosa. E questa è la sfida vera che abbiamo davanti: per gli uni, capire che la dimensione spirituale dell’uomo non può essere mai esclusa dalle manifestazioni della cultura umana; per gli altri, per capire che tali manifestazioni prima di appartenere a ‘tizio’ o ‘caio’ sono tipiche dell’uomo in quanto tale e come tali vanno accolte e rese disponibili ad un confronto senza sconti per nessuno”.
Offrono una luce di discernimento dentro questa sfida aperta, le parole di papa Francesco sull’educazione, durante l’incontro con gli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti: “Nell’educare c’è un equilibrio da tenere, bilanciare bene i passi: un passo fermo sulla cornice della sicurezza, ma l’altro andando nella zona a rischio”.