Padre Claudio Monge commenta da Istanbul il movimento che sta sollevando tutta la Turchia“Sono appena tornato da un giro in piazza Taksim. Era piena. Nelle aiuole ho visto tante persone pacifiche in piccoli gruppi: si parla e si canta. Nonostante gli arresti, i feriti e i morti di questi giorni”. Padre Claudio Monge, teologo (autore del recente Stranieri con Dio) e superiore della comunità domenicana di Istanbul, non è un telecommentatore da poltrona. Il movimento che sta mettendo sottosopra le sicurezze del governo turco, lo vede e lo osserva da prima che in Italia e nel resto del mondo fossero arrivate le prime eco dei fatti di piazza Taksim e di ciò che ne è scaturito dopo.
I fatti: le ruspe governative erano pronte ad abbattere 600 alberi del polmone verde al centro della capitale turca, il parco Gezi, per costruire un nuovo ennesimo centro commerciale; un gruppo di un centinaio di manifestanti hanno occupato la piazza pacificamente, la polizia è intervenuta con violenza, con idranti e lacrimogeni, abbattendo e bruciando le tende. Ma ha ottenuto solo di innescare una reazione a catena che ha coinvolto tutto il Paese da giorni.
Padre Monge, immagino che stia seguendo non solo la lettura dei fatti che si fa in Turchia ma anche i commenti dall’Italia.
Padre Claudio Monge: Qui in Turchia i media di Stato continuano a mettere un velo su quel che succede. Ora sono concentrati sul viaggio del premier Erdogan in Marocco, Tunisia e Algeria. Invece, ho anche partecipato a una diretta su una radio italiana e mi sono trovato dentro una gazzarra piena di semplificazioni, soprattutto sul rapporto tra Turchia e Unione europea e su cosa sia la democrazia.
Qual è il nodo per avere una lettura di quello che si sta muovendo?
Padre Claudio Monge: La complessità, non bisogna semplificare. Ad esempio, non parlerei di ‘primavera’ nel caso della Turchia. Gli elementi comuni con i Paesi arabi sono pochi. La Turchia, bene o male, viene da 90 anni di democrazia e c’è un cultura politica diffusa e il Premier che si contesta è stato eletto con elezioni democratiche. Ho letto anche che qualcun altro parla di un nuovo ‘68: ma io vedo qualcosa di più di slogan alla “vietato vietare”.
Scendendo per le strade e andando a piazza Taksim chi ha visto manifestare?
Padre Claudio Monge: C’è un movimento trasversale: non è fatto solo di adolescenti e giovani. Ho visto gente della mia età, 50-55enni che marciavano coi giovani. Vedo classi sociali molto diverse. E poi bisogna anche capire che qui la gente in piazza porta le bandiere turche mica quelle anarchiche: c’è un forte senso di nazione. A me sembra una delle espressioni di democrazia più mature in giro per il Mediterraneo.
Di nuovo dunque ci sono i numeri della protesta?
Padre Claudio Monge: Sì, anche. Si tenga conto che durante i primi scontri i negozi e gli uffici intorno piazza Taksim, dove i danni che ho visto sono pochi in realtà, non hanno chiuso le saracinesche ma hanno portato dentro i feriti o aiutato i manifestanti feriti o storditi dai lacrimogeni.
Un’altra interpretazione vuole che il movimento sia la reazione laica a un costante processo di islamizzazione e moralizzazione dei costumi da parte del governo .
Padre Claudio Monge: Conosco musulmani praticanti che da giorni sono a Gezi Park. Ci sono musulmani che non si riconoscono affatto in questa presunta ‘islamizzazione’ di Erdogan. Anche qui complessità è la parola chiave. Credo che pochi in Occidente sappiano che il 1° Maggio, proprio in piazza Taksim, che dopo anni è stata riaperta per le manifestazioni, è apparso sulla scena un movimento che si chiama ‘Islamici contro il capitalismo’ in cui dei musulmani credenti e praticanti si sono impossessati degli slogan più classici della sinistra cheguevarista. c’erano cartelli come “Allah, pane e giustizia”. È l’affermazione di un certo Corano sociale che si oppone a una sorta di “calvinismo islamico”, quello di Erdogan, per cui ‘se fai i soldi è perché Dio ti benedice’. In nome dello stesso Islam dicono cose opposte. La pseudo-islamizzazione dal basso dell’Akp è discriminatoria tra gli stessi musulmani, perché riconosce solo la parte sunnita. Esclude del tutto per esempio la componente alevita, una parte storica di Islam turco, sui generis per gli ortodossi, ma ingente nei numeri: forse 12 milioni, quasi un quarto della popolazione turca. È recente l’ultimo gesto simbolico del governo: il 29 maggio, anniversario della conquista di Costantinopoli, il governo ha posto la prima pietra dell’ennesimo progetto faraonico, il terzo ponte sul Bosforo, intitolato a Selim I uno dei grandi sultano del XVI sec che la storia conosce come grande sterminatore di aleviti.
Cosa ha messo in moto dunque la repressione della piccola manifestazione per la difesa del parco Gezi?
Padre Claudio Monge: Due visioni della società turca che si scontrano. Un’immagine molto forte: il Gezi Park, 200 mq, non è mica Central Park! Ma è un posto dove la gente si trova da sempre per leggere e discutere: è il parco dell’incontro. E invece ci vogliono costruire un centro commerciale. Stanno snaturando Istanbul. Perché è vero che è una metropoli di 17 milioni di abitanti ma è fatta di quartieri che sono piccoli villaggi, dove la gente si parla, prende il tè per strada: la relazione è fondamentale per questo popolo.
Sembra insomma soprattutto una reazione all’autoritarismo e alla concentrazione della ricchezza nelle mani di una oligarchia economica?
Padre Claudio Monge: Direi di sì. Però bisogna tener conto che l’Erdogan di oggi non è lo stesso del 2001, e forse oggi non riprenderebbe il 49% alle elezioni. Nei suoi primi 6/7 anni il Premier di riforme ne ha fatte per ottenere l’integrazione nell’Unione europea, non ha solo rilanciato l’economia. Adesso, dopo la porta sbattuta in faccia dall’Ue, stiamo tornando indietro a passi da gigante. Erdogan ha tentato una virata spettacolare, un flirt col mondo arabo, contronatura per la storia turco-ottomana, che ha rischiato di metter in discussione l’alleanza con Israele; poi quando cominciava a tirarne fuori i frutti, con contratti importanti in primis con Egitto, Libia e Siria, lì è successo quel che è successo e ora si trova in grave difficoltà.
E i cristiani in tutta questa situazione?
Padre Claudio Monge: Come cristiani siamo e restiamo socialmente e politicamente irrilevanti e ci mettiamo alla finestra a guardare cosa esce da questa situazione. Siamo in tutto 200mila su 78 milioni di abitanti e siamo divisi anche tra noi. Solo tra i cattolici ci sono 4 riti diversi. Anche se siamo una realtà, malgrado tutto, in evoluzione, dovuta soprattutto all’immigrazione, che sta cambiando pelle al cristianesimo turco. Arrivano molti africani subshariani, la novità degli ultimi 10 anni, c’è una migrazione già ventennale di filippini, e poi gente dell’Est Europa. Prima dei fatti degli ultimi giorni era in discussione una riforma costituzionale, sarebbe la prima ottenuta democraticamente in Turchia. Il nostro futuro passa di lì!