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Papa Francesco: la Siria non può aspettare

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Chiara Santomiero - pubblicato il 05/06/13
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Il pontefice sprona gli organismi caritativi cattolici impegnati nel PaeseVenticinque milioni di euro nel corso di due anni: è questa la cifra dell’intervento degli organismi cattolici per far fronte alla crisi umanitaria provocata dal conflitto in Siria. L’intervento ha permesso l’assistenza di circa 400 mila persone nella stessa Siria e nei tre principali Paesi che accolgono i profughi: Libano, Turchia e Giordania. Ma adesso è necessario un maggior coordinamento degli aiuti e sintonia di intenti: per questo motivo, su incoraggiamento di papa Francesco, il Pontificio Consiglio Cor Unum ha riunito a Roma i responsabili di 25 organismi che stanno prestando il loro aiuto nel paese mediorientale.

La prima ad entrare in azione, già nel 2011, quando i primi profughi si sono rovesciati attraverso le frontiere, è stata Caritas Libano, guidata da fr. Simon Faddoul. “In Libano – racconta Faddoul ad Aleteia – non abbiamo campi profughi ufficiali ma ci sono dai 15 ai 18 campi non ufficiali. L’idea di campi riconosciuti non piace a nessuno dei membri del governo, in particolare ad Hezbollah, perché hanno in mente l’esperienza dei profughi palestinesi che vivono nei campi dal 1948. Tuttavia nel Paese ci sono 3 milioni di rifugiati, molti dei quali vivono in condizioni veramente misere lottando per la sopravvivenza”. In particolare ci sono “migliaia di bambini: il 75% dei rifugiati è composto da giovanissimi, maschi e femmine mentre solo il 25% di adulti”. Caritas Libano, presente in tutte le zone del Paese, ha aiutato fino ad oggi più di 80 mila persone. “Abbiamo fornito cibo e medicine – spiega il direttore di Caritas Libano -; con le nostre cliniche mobili diamo assistenza di ogni tipo. Alle donne e alle madri con bambini, in particolare, diamo aiuto attraverso terapia psicologica e assistenza sociale”. Alcuni programmi dell’Unicef hanno supportato l’entrata di 15 mila bambini nelle scuole pubbliche libanesi, ma la Caritas intende incrementare questo sforzo con un nuovo programma di istruzione non formale direttamente nei campi, “perché molti bambini rifugiati non possono andare a scuola in quanto non hanno mezzi di trasporto e non ci sono scuole nelle vicinanze per loro”.

L’aiuto della Caritas Libano, che rientra nel coordinamento esercitato nell’area da Caritas Mona (un acronimo per Caritas Middle East and North Africa), non conosce distinzione di religione: “in termini di statistica – afferma Faddoul – degli 80 mila che abbiamo aiutato finora, il 92% sono musulmani, il 6% sono cristiani e il 2% senza denominazione”. I cristiani per la maggior parte non vivono nei campi ma sono sparpagliati in tutto il Paese, in case prese in affitto o accanto ai monasteri. La Conferenza episcopale italiana, in particolare, finanzia programmi speciali per 1000 famiglie cristiane vulnerabili.

La stragrande maggioranza dei profughi intende vivere questa condizione come una fase transitoria: “ci sono alcune famiglie, sia cristiane che musulmane, che attendono il visto per recarsi in altri Paesi – spiega Faddoul – ma sono poche. La maggior parte aspetta di tornare indietro in Siria dove ha lasciato casa, attività, università. Stanno aspettando che torni la pace per avere una buona vita”.

In questa prospettiva la spinta di papa Francesco a supporto dell’azione umanitaria in Siria che dà continuità alle iniziative già assunte da Benedetto XVI, in particolare in occasione del Sinodo della nuova evangelizzazione e con l’invio lo scorso novembre nelle zone del conflitto del cardinale Sarah, presidente di Cor Unum, è di grande importanza: “il Santo Padre – sottolinea il presidente di Caritas Libano – ha pronunciato parole molto incoraggianti per noi oggi: è stato veramente toccato dalle sofferenze della gente siriana e continua ad invocare la pace dalle nazioni”.

Rinaldo Marmara, direttore di Caritas Turchia e portavoce della Conferenza episcopale turca nei giorni scorsi non ha potuto raggiungere la sede dell’organismo accanto alla piazza Taksim, a causa delle manifestazioni di protesta scoppiate ad Istanbul. Così le tensioni in Turchia accrescono la difficoltà del soccorso ai profughi siriani.
 
"Abbiamo aperto un ufficio a Reyhanli, vicino alla frontiera siriana – racconta Marmara ad Aleteia -: in questa regione ci sono circa 25 mila profughi ma le stime ufficiali parlano di un totale di circa 300 mila profughi, in parte nei campi e in parte fuori”. Molti, infatti, si dirigono a Istanbul e chiedono aiuto all’ufficio della Caritas nella città sul Bosforo. “Noi aiutiamo tutti come possiamo – afferma Marmara – senza distinzioni di nazionalità e religione”. Tuttavia i circa 2 mila cristiani presenti tra i profughi, oltre a costituire una minoranza, vivono anche ulteriori difficoltà: sono considerati schierati a favore dell’attuale presidente siriano Bashar Al-Assad e contro la prospettiva di un cambiamento democratico nel paese e ciò provoca tensioni. Nel marzo scorso una riunione tra il governo turco, i quattro metropoliti siro-ortodossi e il vicario patriarcale cattolico, ha portato alla determinazione di costruire un campo profughi separato per i cristiani, nella zona vicino a Mydiat, tradizionalmente un’enclave cristiano-siriaca nella provincia di Mardin. “Potrà accogliere quasi 10 mila rifugiati – spiega Marmara che ha visitato la struttura in fase di allestimento tre settimane fa – e dovrebbe essere pronto nel giro di un mese o due”. La situazione è drammatica: “tutti questi profughi che lasciano il loro Paese – si appella Marmara – devono essere accolti e hanno bisogno di un aiuto urgente. Aiutate la Caritas ad aiutarli”.

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