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Violenza e Rete: i giovani alla prova dei new media

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Lucandrea Massaro - pubblicato il 28/05/13
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Intervista a Elisa Manna, responsabile del settore Politiche Culturali del Censis e autrice di “Anima e Byte”
Una facile pedagogia sottovaluta il ruolo dei media (tutti, dalla tv a internet) nella crescita e nello sviluppo affettivo dei giovanissimi. Soffermarsi ad una analisi superficiale quale “gli horror non sono adatti ai bambini perché li spaventano”, riduce il potenziale stesso dei contenuti visivi e dunque non aiuta a capire come usare le tecnologie del mondo che ci circonda. Per fortuna c’è chi, come Elisa Manna, da trent’anni studia i rapporti tra media e minori. Responsabile per la Fondazione Censis del settore Politiche Culturali, Elisa Manna indaga questi argomenti dal 1982, data di uscita del suo primo libro (significativamente “Età evolutiva e televisione”). Oggi indaga l’impatto della rete con “Anima e Byte” (edizioni Paoline), presentato questo martedì alla Pontificia Università Lateranense. Aleteia le ha posto alcune domande.

Dottoressa Elisa Manna, a che punto sono gli studi su questo argomento in Italia?

Elisa Manna: Alla fine degli anni ’70 non c’erano ricerche italiane sul tema, tutta la produzione scientifica si importava dagli Stati Uniti o dai Paesi anglosassoni. All’estero già da moltissimi anni sono ampi gli studi su questi argomenti. Il più vecchio studio sull’impatto dei media sui minori risale al 1956 ed è della London School of Economy, in Inghilterra. Per noi sarebbe stato fantascienza occuparcene, anche per il differente impatto della tv nel nostro Paese, più tardivo. Noi scontiamo ancora questo gap, perché gli studi nordeuropei e americani sono diacronici cioè possono studiare molto meglio gli effetti dei mezzi di comunicazione evidenziando le trasformazioni che i bambini subiscono grazie alla tv seguendo nel tempo un gruppo e la sua evoluzione attraverso anche i decenni.  

Quali i pericoli dell’influenza dei nuovi media nei ragazzi? 


Elisa Manna: C’è il tema dell’apprendimento. Il multitasking ad esempio produce effetti positivi (stimola i riflessi, la capacità di gestire più input, il mettere in connessione più contesti) ma rende anche i ragazzi inidonei alla solitudine creativa: i ragazzi non sono più capaci di approfondire una tematica, tutto è superficiale e frammentario.

I media trasmettono sempre più violenza?

Elisa Manna: Questo è assolutamente vero. Oggi i bambini ad 8 o 9 anni hanno già un profilo Facebook, ma sono comunque tutti figli della televisione. E’ da lì che affluisce la loro visione del mondo. Questa generazione di minori è fortemente connessa, ma i contenuti su cui impatta la loro esperienza proviene da una pluralità di media visivi. Quello che va considerato quindi è l’accumulo di contenuti violenti nel tempo, così come la costruzione di stereotipi di genere o etnici i quali sono tutti figli della televisione. L’immaginario collettivo della tv italiana restituisce una idea della donna molto precisa a cui sia le ragazze che i ragazzi aderiscono. Ma è una deformazione, che però contribuisce a costruire una realtà. Tutto questo può produrre effetti esplosivi. Ancora oggi – nel Sud per esempio – c’è  una forte idea dell’onore, ma contemporaneamente i media veicolano e stimolano gli adolescenti ad una precocità sessuale. E’ evidente come questo collide: la società fornisce due impulsi contrastanti e mal si sopporta la libertà di una donna. La recente cronaca (il caso di Carolina, ndr) purtroppo ce lo ricorda. La comunità educativa deve comprendere che rapporto c’è tra i contenuti veicolati dalla pluralità di media con cui i giovanissimi vengono a contatto, e la loro percezione della realtà. Nel libro cerco di sottolinearlo. Perfino la pornografia è cambiata, è divenuta sempre più violenta: se i ragazzi (che comunque ne usufruiscono) pensano che quello sia il modello corretto di approccio al corpo femminile, che idea avranno della violenza, della sopraffazione, dell’umiliazione fisica e psichica nell’altro? Ormai sempre di più si tende a svalutare la violenza nella realtà.

Che impatto ha tutto questo secondo lei?

Elisa Manna: Oggi i ragazzi si sottopongono a queste ondate di violenza come rito di passaggio, si sfidano l’un l’altro per vedere chi resiste di più nel vedere (il web ne è pieno) siti con immagini raccapriccianti. E’ un aspetto normale dell’adolescenza, ma un tempo i riti di passaggio erano condivisi dalla comunità e quindi venivano “contenuti” dalla società di riferimento anche grazie alla presenza degli adulti. Oggi invece la fruizione è solitaria e cumulativa. A darci una panoramica delle conseguenze è una ricerca del Congresso americano che ha evidenziato tre tipologie di effetti:

Comportamento imitativo (iperaggressività)

Comportamento di desensibilizzazione (perdita di empatia)
Comportamento della vittimizzazione (senso di accerchiamento)

Naturalmente parliamo di soggetti predisposti e influenzabili, ma la pervasività e l’iperconnessione dei nostri ragazzi amplificano la possibilità di cadere in una di queste tipologie di effetti. Tutto questo ha un effetto drammatico sulla società: politicamente questo mix è esplosivo perché impatta sul modo di essere comunità democrazia. Che società è una in cui una parte della cittadinanza propende per la violenza, un’altra si sente sempre vittima di persecuzione e di oppressione e una terza è insensibile alla violenza e dunque al male? I media hanno un infinito impatto positivo nella mobilitazione e nell’informazione, ma questo lo sappiamo già. Dobbiamo capire gli effetti negativi per prevenirli. E’ il compito dell’educazione, professori e genitori in primis.

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