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L’arte dell’economia ha urgente bisogno di un’anima

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Simone Sereni - pubblicato il 16/05/13
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L’ultimo libro di Luigino Bruni: più dell’ansia per lo spread può il rilancio delle virtù economiche della prossimità e della felicità pubblica
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L’economia non è solo una questione di freddi numeri e di alchimie finanziarie. Per fare il suo mestiere, ossia governare la nostra casa comune, il pianeta Terra, ha bisogno di restare attaccata alla vitalità delle donne e degli uomini e ai loro sogni; e persino a parole come “pentimento”, “umiltà” e “digiuno”. L’economia ha cioè urgentemente bisogno di un’anima.

Economia con l'anima (Emi) è proprio il titolo del nuovo libro di Luigino Bruni, docente di economia all'Università Lumsa di Roma e presso l’Istituto Sophia di Loppiano (FI). Nel volume, che verrà presentato giovedì 16 sera a Milano presso il Pime nell'ambito di “Tuttaunaltrafesta”, Bruni invita a ritrovare le radici umane dell'economia. L'economia deve tornare ad essere «civile», pena la sua stessa sparizione. E con essa quella della democrazia, anche in Italia.



L’economia italiana sembra avere l’anima pesante: “Lo abbiamo detto in tanti – mi dice al telefono il prof. Bruni – quella dell’austerity è una linea molto discutibile, soprattutto in questa fase. Il Fiscal compact non porta da nessuna parte se l’Ue non realizza un patto di fiducia reciproca coi Paesi più fragili e non mette in conto qualche anno di investimenti, sempre monitorando per evitare gli sprechi. Non si esce da nessuna crisi, personale, collettiva o aziendale, dunque, senza investire. L’Europa non può essere solo il pubblicano, l’esattore del Vangelo: che mette vincoli odiosi ed esige solo tasse. Deve essere anche ‘prossimo’, che si mette con te per camminare su una strada comune, da condividere”.


E a proposito di esattori, un capitolo del volume è dedicato proprio al fisco. Bruni associa le tasse alla dimensione del dono, “una parola oggi purtroppo totalmente assente dal dibattito pubblico, assente anche perché l’abbiamo trattata troppo male in questi ultimi decenni”. È difficile pensare e vivere le tasse come un dono, in un sistema dove si è rotto il patto sociale tra i cittadini e tra cittadini stessi e lo Stato. Bruni, a tal proposito, guarda “con grande simpatia all’idea di alcuni Comuni di occuparsi direttamente della riscossione delle imposte, in modo da rendere più sussidiario e comunitario anche questo momento della vita civile, nel quale il «come» conta almeno quanto il «che cosa». Perché “è sempre il dono che fonda e rifonda le comunità. La communitas: quel dono (munus) reciproco (cum) che è alla radice anche della scelta civile fondamentale di pagare le tasse”.


Secondo Bruni, infatti, la crisi ci insegna che c’è innanzitutto bisogno di una “riduzione delle distanze” tra i luoghi delle decisioni economiche e i luoghi di vita delle persone; recuperando una presenza pubblica più efficiente, soprattutto basata sulle autonomie locali, e dando più sostegno a imprese e soggetti di economia sociale e civile sappiano vedere e toccare con mano le situazioni e persino gli umori della gente e non solo valutarli con generici parametri monetari. La riconquista della prossimità è un’esigenza comune: all’Europa, che senza un plus di politica sarà costretta a rinunciare all’euro, come alle imprese di produzione, alle banche come al fisco.



Per uscire dalla crisi, che non è solo economico-finanziaria, dunque “l’Italia oggi ha un estremo bisogno di felicità pubblica”. Recuperando una sapienza scritta nei libri, Bruni scrive: “In una fase storica rivoluzionaria (il secondo Settecento) per molti versi simile a quella attuale, gli economisti italiani, associando l’economia alla pubblica felicità, volevano sottolineare tre aspetti: senza sviluppo economico i popoli non possono essere veramente felici e non escono mai dalla condizione del servo; la felicità, sia quella pubblica sia quella personale, nasce dalle virtù (…); la felicità è un bene comune, perché mentre si può essere ricchi anche da soli (soprattutto se si hanno rendite), per essere felici occorre coltivare le relazioni, soprattutto i beni relazionali, politici, civili”.

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