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L’abolizione della pena di morte nel mondo fa passi avanti

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Aleteia - pubblicato il 10/04/13
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Diffuso il rapporto di Amnesty International per il 2012La pena di morte nel mondo è lungi dall'essere abolita, ma nel 2012 è stato registrato qualche progresso nel cammino verso la sua riduzione sostanziale. Lo si apprende dal rapporto su pena di morte ed esecuzioni nel 2012 diffuso il 10 aprile da Amnesty International, che lo scorso anno è venuta a conoscenza di 682 esecuzioni, due in più rispetto al 2011, e di almeno 1722 sentenze capitali in 58 Paesi rispetto alle 1923 in 63 Paesi dell’anno precedente.

Nel 2012 ci sono state esecuzioni in 21 Stati, lo stesso numero del 2011, ma in calo rispetto a un decennio prima (nel 2003 erano 28). Sono tuttavia riprese in Paesi che non facevano da tempo ricorso alla pena di morte, come Gambia, Giappone, India e Pakistan, con un aumento allarmante in Iraq (129 condanne contro le 68 del 2011) (Agenzia Sir, 10 aprile).
 
“I passi indietro che abbiamo visto in alcuni Paesi sono stati deludenti, ma non hanno invertito la tendenza mondiale contro il ricorso alla pena di morte. In molte parti del mondo le esecuzioni stanno diventando un ricordo del passato. Nel mondo solo un Paese su 10 continua a usare la pena di morte”, ha affermato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty International.

I numeri, ha sottolineato Carlotta Sami, direttrice di Amnesty International Italia, danno ragione a chi, come l'organizzazione, lavora incessantemente da oltre 50 anni contro la pena capitale nel mondo, “perché dimostrano che inesorabilmente la pena di morte è in caduta libera” (Radio Vaticana, 10 aprile).

I metodi di esecuzione usati nel 2012 hanno compreso l’impiccagione, la decapitazione, la fucilazione e l’iniezione letale. I crimini per i quali sono state eseguite condanne a morte hanno incluso anche reati non violenti legati alla droga, ad adulterio e sodomia (Iran), reati di tipo economico (Cina), ma anche apostasia, blasfemia (Pakistan), stupro (Arabia Saudita). Non di rado le presunte “confessioni” vengono estorte con la tortura.

Preoccupa poi il fatto che la pena di morte venga a volte usata anche per motivi politici, soprattutto in Paesi come quelli dell'area del Golfo in cui c'è “una fortissima repressione della libertà d'espressione”, ha rilevato la Sami, che ha avvertito come le cifre a disposizione di Amnesty non includano le esecuzioni in Paesi come la Cina, che “continuano a stendere un velo di segretezza assoluta sulle esecuzioni capitali”. Si ha la certezza che nel Paese asiatico siano state giustiziate migliaia di persone, il che lo colloca al primo posto nella drammatica classifica delle esecuzioni. 


Ci sono però anche segnali positivi: nel 2012 il Vietnam non ha eseguito alcuna condanna, mentre Singapore ha osservato una moratoria sulla pena di morte e la Mongolia ha ratificato un trattato internazionale che impegna il Paese all’abolizione. Negli Stati Uniti le esecuzioni del 2012 sono state 43, lo stesso numero dell'anno precedente, ma sono avvenute in 9 Stati anziché in 13 come nel 2011. Il Connecticut è diventato in aprile il 17° Stato abolizionista degli USA. In Europa l'unico Paese a eseguire condanne a morte è la Bielorussia, che lo ha fatto in forma segreta mettendo a morte almeno tre persone.

Incoraggianti anche il fatto che il 20 dicembre 2012 111 stati membri dell’Onu abbiano detto sì alla quarta moratoria sull’uso della pena di morte e le commutazioni o i provvedimenti di grazia in favore di prigionieri condannati a morte in 27 Paesi (Avvenire, 10 aprile).

In questo contesto, ha spiegato la Sami, i membri di Amnesty International sono “molto fiduciosi” e “sicuri” che il processo di graduale estinzione della pena capitale “non si arresterà perché l’opinione pubblica a livello mondiale è contraria in gran parte alla pena di morte”. “Ormai, è opinione globale e risulta anche da numerosissimi studi che la pena di morte non ha alcun valore deterrente”. Per questo, “è molto importante continuare a fare pressione a livello internazionale e diplomatico, quindi attraverso le Nazioni Unite, e a livello nazionale perché i nostri Governi facciano sentire sempre di più la loro voce”.

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