In assenza di dati scientifici ogni strada alternativa è “estremamente rischiosa”j“La medicina non può essere un Far West dettato dall’emotività e da pressioni di vario tipo”, ha affermato “con il massimo rispetto del dolore e della sofferenza dei malati”, che conosce “fin troppo bene”, uno dei massimi esperti italiani nel campo delle staminali, Antonio Uccelli, responsabile dell’Unità di neuro-immunologia del Dipartimento di neuroscienze dell’Azienda Ospedaliera San Martino e Università di Genova.
La questione delle staminali è tornata alla ribalta dopo che l'Agenzia italiana per il farmaco (Aifa) e il Ministero della Salute avevano imposto la sospensione delle cure con il metodo Stamina, sul quale mancano prove scientifiche, per una bambina di tre anni e mezzo affetta da una malattia neurodegenerativa. Dopo una mobilitazione anche mediatica, la bimba ha ottenuto la possibilità di un nuovo ciclo di cure con questo metodo.
Il via libera alla prosecuzione del metodo Stamina per i pazienti che hanno già avviato i trattamenti “sulla base del principio etico per cui un trattamento sanitario già avviato che non abbia dato gravi effetti collaterali non deve essere interrotto”, come ha scritto il Ministero, ha sollevato molte perplessità (Avvenire, 28 marzo).
“Mi occupo di sclerosi multipla, una malattia neurodegenerativa fortemente invalidante, e conosco fin troppo bene la disperazione dei pazienti e delle loro famiglie”, ha affermato il professor Uccelli. Ogni nuova cura con le staminali, ha osservato, “in assenza di dati scientifici sarebbe una strada estremamente rischiosa. I pazienti che arruoliamo nelle nostre sperimentazioni vengono scelti secondo criteri messi a fuoco dopo aver raccolto le evidenze scientifiche che permettono un’approfondita valutazione dei pro e dei contro nella statistica dei casi” (Tempi, 28 marzo).
Il problema del metodo Stamina consiste nelle anomalie e irregolarità certificate dall'Aifa durante l’ispezione dell'8 e 9 maggio 2012: “il laboratorio (…) dove il materiale biologico viene preparato e manipolato è assolutamente inadeguato”, “non è disponibile alcun protocollo o resoconto di lavorazione”, “non è disponibile alcun certificato di analisi”, “i medici che iniettano il prodotto nei pazienti non risultano essere a conoscenza della vera natura del materiale biologico somministrato”, “non risultano essere disponibili specifici pronunciamenti del Comitato Etico sul rapporto favorevole fra i benefici ipotizzabili e i rischi prevedibili del trattamento”.
“Come faccio a pronunciarmi su un metodo che non è disponibile, che non è descritto da nessuna parte?”, ha commentato Angelo Vescovi, direttore scientifico dell'ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo e della Banca della cellule staminali cerebrali umane di Terni, nata grazie a Neurothon, una onlus che finanzia la ricerca sulle malattie neurodegenerative. Stamina, ha spiegato, “è descritto solo in un brevetto, che ha lo scopo di proteggere la proprietà intellettuale ma come tale non è soggetto ad alcuno scrutinio da parte del mondo scientifico” (Avvenire, 21 marzo).
Le stesse obiezioni sono state sollevate dall’Associazione italiana di miologia, che in un comunicato ha sottolineato “l’assoluta mancanza dei più elementari standard scientifici di questa cura”, richiamando anche un articolo pubblicato su un’autorevole rivista scientifica che dimostra l’inefficacia della procedura su un gruppo di bambini trattati all’Ospedale Burlo Garofalo di Trieste, e da Enzo Ricci, del dipartimento di neuroscienze del Policlinico Gemelli di Roma e docente di Neurologia alla Cattolica, per il quale “nel mondo scientifico non esiste una terapia che qualcuno tiene in tasca, chi è convinto di una teoria la deve anche dimostrare e i risultati sono vagliati da altri, non da se stesso”.
“La scienza si è data delle regole per le sperimentazioni cliniche, a garanzia dei pazienti e della ricerca”, ha confermato il co-direttore dell'Istituto Telethon di Terapia Genica (Tiget), Luigi Naldini. “Uscire dalle regole vuol dire mettere a rischio la salute dei pazienti e rischiare di non vedere l'eventuale efficacia della terapia” (La Repubblica, 21 marzo).