Nessun suo coinvolgimento nel sequestro dei sacerdoti Yorio e Jalics
I rappresentanti della Giustizia argentina che hanno indagato sul possibile coinvolgimento del sacerdote Jorge Bergoglio nel sequestro e nella tortura di due sacerdoti assicurano che le imputazioni contro papa Francesco sono totalmente false.
Le affermazioni sono avallate dalla sentenza emessa dal giudice Germán Castelli insieme ai magistrati Daniel Obligado e Ricardo Farías il 28 dicembre 2011.
La sentenza giudiziale del Tribunale Orale Federale N° 5 ha condannato all’ergastolo dodici repressori della Scuola di Meccanica dell’Armata (ESMA), tra le altre cose per il sequestro per sei mesi dei gesuiti Orlando Yorio e Francisco Jalics nel 1976.
“È del tutto falso dire che Jorge Bergoglio abbia consegnato quei sacerdoti. Abbiamo analizzato la questione, ascoltato quella versione, visto le prove e abbiamo capito che il suo agire non ha avuto implicazioni giuridiche in questi casi. In caso contrario, lo avremmo denunciato”, ha dichiarato al quotidiano “La Nación” il giudice Castelli (http://www.lanacion.com.ar/1563867-para-la-justicia-argentina-las-imputaciones-son-falsas).
La voluminosa sentenza della causa ESMA, disponibile sulla pagina web della Corte (www.cij.gov.ar), riunisce tra le pagine 743 e 761 la storia di Yorio e Jalics e l’intervento di Bergoglio. L’attuale giudice di un Tribunale Orale Federale a San Martín ricorda che Bergoglio ha prestato nel 2010 una dichiarazione presso il tribunale e che le sue dichiarazioni sono state oggetto di discussione con i suoi colleghi.
“Le domande sono state estese ed è stato indagato a fondo tutto. Eravamo consapevoli dell’importanza di questa testimonianza per gli accusatori. Ed è stato un grande risultato, dal punto di vista repubblicano e visto ora a posteriori, dato che Bergoglio ora è il papa”, ha affermato il giudice.
Per il tribunale, come si legge alla pagina 761 della sentenza, i sacerdoti hanno sfidato un regime assassino. Quanto a Bergoglio, “abbiamo convenuto che non c’erano ragioni per denunciarlo”.
I giudici ritengono che i superiori della Chiesa cattolica abbiano avuto atteggiamenti contrastanti sia di opposizione al regime e aiuto alle vittime che di avallo morale delle autorità militari.
Per questo motivo, il giudice Castelli ha chiesto a Bergoglio la sua opinione sul ruolo del Vaticano durante la dittatura.
In quel momento, ha ricordato, c’è stata grande agitazione nella sala dell’arcivescovado di Buenos Aires, dove ha avuto luogo la dichiarazione di Bergoglio, che all’epoca del processo era cardinale e arcivescovo primate d’Argentina. Bergoglio era davanti ai tre giudici del Tribunale, a sinistra gli accusatori e a destra gli accusati. Il pubblico ministero e uno degli avvocati si sono opposti alla domanda di Castelli, che è stata poi respinta dai suoi colleghi.
Quando tutto è terminato e la sala si stava svuotando, però, Bergoglio è andato a cercare Castelli per dirgli: “Vorrei risponderle, dottore, non ho alcun problema a rispondere”. “Guardi, non posso ascoltare in privato ciò che mi è stato rifiutato in pubblico. Me lo dirà una volta terminato il processo”, gli ha risposto il giudice.
È passato del tempo e il tribunale ha emesso la sentenza. Castelli non ha mai chiamato Bergoglio per conoscere la sua risposta. Oggi se ne pente. “Ora che è papa, a maggior ragione mi interesserebbe, non solo per l’Argentina ma anche per tutto il mondo, che potesse spiegare l’atteggiamento della Chiesa e del Vaticano di fronte alla dittatura militare”, ha affermato con speranza il magistrato.