Viviamo nella civiltà delle immagini, ma quello dell’arte sembra essere diventato al giorno d’oggi un linguaggio oscuro.
Nella attuale “civiltà delle immagini”, è oltremodo presente solo una certa tipologia di immagini (pubblicitarie, televisive, telematiche) che ha depauperato la presenza e la comprensibilità delle immagini artistiche, tanto che “il diluvio delle immagini che ci circondano significa al tempo stesso la fine della immagine” (J. Ratzinger, “Introduzione alla liturgia”). Eppure è vero che «oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico» (Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica). Per recuperare uno sguardo capace di guardare le immagini prodotte dall’arte sacra occorre guardare alla storia dell’arte cristiana, evidenziandone il significato cristologico, valorizzandone la capacità di testimonianza credibile, sottolineando il legame intrinseco tra bellezza e santità.
1) L’attuale civiltà delle immagini è in realtà contraddistinta da una diffusa iconofobia, eppure anche in questo difficile contesto, l’arte sacra è ancora cammino privilegiato di evangelizzazione.
La contemporanea civiltà delle immagini si affida solo a un versante molto limitato delle immagini stesse, ovvero alle immagini pubblicitarie, televisive, telematiche, immagini quasi esclusivamente in movimento, di fatto ignorando il complesso linguaggio che è parlato dalle immagini artistiche. Questo fenomeno è stato descritto da Burke nei termini di “iconofobia”[1]; potremmo interpretarlo nei termini di Belting come un passaggio dal culto delle immagini al culto della parola (che ad avviso di Belting è la forma protestante della iconoclastia)[2]; Maria Bettetini lo collega al “cannibalismo” delle immagini virtuali: «è una iconoclastia endogena, quella che avevamo definito cannibale: le immagini virtuali si distruggono tra loro e si autodistruggono, perché sono facilmente interscambiabili, appiattite sul loro rappresentare se stesse. Invadono la vita quotidiana dell’uomo del ventunesimo secolo, che tuttavia possiede armi rapide per disfarsene: un click, un mouse, un del»[3].
Come la sovrabbondanza della luce elettrica ha di fatto reso ciechi di fronte alle gradazioni di luce e di ombra, così la sovraesposizione di una certa tipologia di immagini ha reso analfabeti di fronte alle immagini in quanto tali.
L’allora card. Joseph Ratzinger scriveva parole importanti sulla “fine dell’immagine” nel “mondo delle immagini”: «il nostro mondo delle immagini non oltrepassa più l’apparenza sensibile, e il diluvio delle immagini che ci circondano significa al tempo stesso la fine dell’immagine: al di là di ciò che può essere fotografato non c’è più nulla da vedere. Allora, però, diventa impossibile non soltanto l’arte dell’icona, l’arte sacra, che è basata su un modo di vedere più in profondità; l’arte in se stessa […] resta priva di oggetto» [4].
In questa situazione così problematica, non mancano autentici segni forti che rimandano alla necessità di recuperare le immagini sacre come annunciatrici della Fede: ricordiamo per esempio il documento finale della Sessione Plenaria del Pontificio Consiglio della Cultura del 2006 dedicata a La via pulchritudinis. Cammino privilegiato di evangelizzazione e dialogo, oppure la riflessione svolta dai vescovi di Toscana dalla Nota Pastorale del 1997 La vita si è fatta visibile. La comunicazione della fede attraverso l’arte fino ai recentissimi interventi dell’arcivescovo di Firenze card. Betori al XIII Sinodo dei Vescovi; oppure ancora le profonde riflessioni sulla Cappella Sistina proposte da Giovanni Paolo II nel Trittico romano, o la incisiva notazione nella premessa del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica scritta dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Card. Ratzinger, oggi Benedetto XVI: «Anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza…. un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico».
BIBLIOGRAFIA:
1) Burke mutua il termine iconofobia come «totale ripudio di tutte le immagini» da P. Collinson, From Iconoclasm to Iconophobia. The Cultural Impact of The Second Reformation, London 1986, p. 8. Cfr. P. Burke, Testimoni oculari. Il significato storico delle immagini [2001], Carocci, Roma 2011.
2) H. Belting, Il culto delle immagini. Storia dell’icona dall’età imperiale al tardo Medioevo [1990], Carocci, Roma 2001, pp.557-596.
3) M. Bettetini, Contro le immagini. Le radici dell’iconoclastia, Laterza, Roma-Bari, 2006, p. 148.
4) J. Ratzinger, Teologia della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2010, vol. XI, Parte A, cap. III, pp. 128-129.
2) Per recuperare uno sguardo capace di vedere le immagini, è importante guardare alla storia dell’arte cristiana, che si presenta come un cammino ininterrotto di annuncio della Fede.
L’arte cristiana ha nelle proprie radici, nel proprio centro, nel proprio fine, Gesù Cristo.
Gesù Cristo è il Verbum Dei fatto carne e si manifesta come Imago Dei; in Lui Verbum ed Imago sono unificati, egli è Parola che si Vede, Immagine che Parla. Fin dalla Natività si impone subito la necessità di un modo nuovo di fare immagini, raccontando il Verbo fatto Carne.
Giovanni Damasceno ha posto in evidenza la grandezza dell’arte che rappresenta Cristo proprio nella sua figura umana: « da ora in poi sia esposto anche nelle immagini secondo la figura umana invece che dell’antico agnello, affinché noi consideriamo l’altezza del Verbo di Dio attraverso la sua umiltà e siamo condotti al ricordo della sua dimora nella carne, della sua passione e della redenzione che da essa è venuta al mondo» (Difesa delle immagini sacre).
Proprio per questa tipica caratteristica, legata alla Incarnazione del Verbum Dei, e impregnata della narratività delle parabole evangeliche, la pittura cristiana è stata capace di diventare Biblia Pauperum.
Il cardinal Gabriele Paleotti nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane del 1582 notava al proposito «È certo che la Santa Chiesa, per mezzo di tutti i dipinti diffusi nei luoghi della cristianità, viene in aiuto ai suoi fedeli più deboli insegnando anche in modo semplice gli articoli della fede, che per mezzo dei dipinti si possono più facilmente comprendere e conservare nella memoria» tanto che la pittura «per essi ha la stessa funzione dell’utilizzo dei libri».
Per la sua caratteristica intimamente cristocentrica, la pittura cristiana è arte per la liturgia: fa vedere la Parola, aiuta a contemplare la Parola, in quanto essa è dotata di una immobilità narrativa, di una narratività stabile. Per questa capacità di narrare mediante la stabilità delle immagini, la pittura si offre come aiuto per la contemplazione; come ha detto Benedetto XVI (Udienza generale, 31 agosto 2011) «ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede».
3) L’arte sacra è testimonianza credibile.
L’arte cristiana è strumento privilegiato di trasmissione della Fede. Giovanni Damasceno (sec. VIII) affermava «se un pagano viene e ti dice: “Mostrami la tua fede”, tu portalo in chiesa e, presentando la decorazione di cui è ornato, spiegagli la serie dei sacri quadri» (Ad Constantium Caballinum).
A questo proposito, occorre sottolineare un’altra importante dimensione dell’arte figurativa sacra: le opere d’arte sono testimoni credibili.
Giovanni Damasceno, basandosi su un testo di san Gregorio di Nazianzo, metteva in evidenza proprio questa peculiarità dell’arte sacra, la sua potenzialità di essere testimone: «Di san Gregorio di Nazianzo, dai Poemi: “O non insegnare, oppure insegnare con i costumi, / per non trascinare da una parte e poi respingere dall’altra con le tue mani, / Facendo ciò che devi avrai meno bisogno di parlare. / Il pittore con la figura insegna di più.
Spiegazione del medesimo: Se egli dice, tu non insegni con i costumi, allora non insegnare con la parola, affinché quelli che tu attiri con la parola poi tu non li respinga perché non hai un costume onesto: infatti, se tu fai ciò che bisogna fare, questa condotta retta sarà anche la parola d’insegnamento, così come il pittore con la figura insegna in misura maggiore» (Difesa delle immagini sacre, nn. 107-108).
L’opera d’arte sacra è testimone credibile perché non può contraddire se stessa; rimane nella propria dimensione rappresentativa, riesce a insegnare con le “figure” senza timore di contraddirsi mediante i costumi.
Questo ruolo di testimonianza evangelizzatrice è stato svolto in tutti i tempi dalle opere di arte sacra. Per questo Giovanni Paolo II in un Discorso del 1981 affermava: «L’arte religiosa, in questo senso, è un grande libro aperto, un invito a credere al fine di comprendere».
4) La vera bellezza è sempre stata attributo di santità.
Interrogando la storia dell’arte, scopriamo che la bellezza è sempre stata legata alla santità, alla virtù, alle perfezioni divine. In tutta la tradizione cattolica la bellezza possiede una tale caratura ontologica da essere annoverata tra i trascendentali, ovvero tra quelle caratteristiche che tutti gli esseri possiedono, proprio perché sono e nella misura in cui sono. Si tratta di perfezioni che sono fondamentalmente riconducibili al vero, al buono, al bello. Ogni realtà, partecipando dell’essere, partecipa di tali perfezioni ontologiche, che hanno in Dio creatore la loro causa prima. Dio è, infatti, sommamente vero, sommamente buono, sommamente bello, e tutta la realtà è in qualche modo vera, buona e bella proprio perché è creata da Dio.
Sebbene i trascendentali non costituiscano materia di Magistero (in quanto sono appunto di ambito metafisico, dunque filosofico, cioè accessibile con la ragione che tutti gli uomini possiedono), tuttavia il Magistero e in modo particolare i documenti del Concilio Vaticano II fanno costante riferimento ad essi, ed in qualche modo li presuppongono.
La bellezza è eminentemente legata alla Santità, tanto da essere primariamente in Dio e solo in modo derivato nelle cose. Dio è Somma Bellezza e origine di ogni bellezza.
Anche la bellezza artistica è fondamentalmente legata alla santità. Gabriele Paleotti nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane del 1582 scriveva: «vi è anche la nobiltà cristiana, più sublime e onorata delle altre, esattamente come la legge del Vangelo insegnataci dal nostro Salvatore è di gran lunga più perfetta di tutte le altre appartenute ai secoli precedenti (Summa, 1.2 q.91 a.5). Questa nobiltà riteniamo che debba essere giustamente attribuita all’arte di dar forma alle immagini».
L’arte cristiana è sempre stata il luogo della bellezza intesa come proporzione, nello spirito di sant’Agostino, o come claritas, nello spirito di san Tommaso; gli artisti cristiani sono sempre stati custodi della bellezza che è segno della presenza di Dio, che è scala per arrivare a Dio, che è strumento per lodare Dio, che è manifestazione della Santità di Dio.
Le opere d’arte cristiana, nate dalla Fede e destinate al culto, hanno cercato e realizzato la bellezza, dando luogo ad opere grandiose, usando anche materiali preziosi. L’elemento materiale è solo un aspetto funzionale alla finalità di lode e di preghiera. Per esempio l’oro, così spesso usato nell’arte sacra, viene scelto per la sua luminosità, per la sua permanenza, per la sua malleabilità. La stessa materia, informata dalla bellezza artistica, diventa testimonianza di Fede. Nulla è mai troppo prezioso per lodare l’immensa Bellezza di Dio.
BIBLIOGRAFIA:
1) Giovanni Paolo II, Trittico romano, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2003
2) Benedetto XVI, Teologia della liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010
3) Rino Fisichella, La nuova evangelizzazione. Una sfida per uscire dall’indifferenza, Mondadori, Milano 2011
4) Rodolfo Papa, Discorsi sull’arte sacra, introd. Card. A. Cañizares Llovera, Cantagalli Siena 2012.