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Ilva: chiudere lo stabilimento aggrava il problema ambientale

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Agenzia Sir - Radio Vaticana - Il Sussidiario - pubblicato il 29/11/12
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Gli obiettivi della tutela dei diritti siano il frutto di un processo di conversione

Le parole “conversione” e “attesa”, tipiche dell'Avvento, ben si adattano alla situazione che vive il più grande stabilimento siderurgico europeo, quello dell'Ilva di Taranto. 

Si fa sempre più tesa la situazione all’Ilva di Taranto, dove l’azienda ha deciso di chiudere lo stabilimento. Il 26 novembre, l'industria siderurgica ha comunicato improvvisamente ai 5.000 operai dell’area a freddo la sospensione della produzione. L’azienda ha ora riabilitato i badge ai lavoratori, anche se l'attività nell'area resta in gran parte sospesa.

Per Confindustria, è a rischio tutto il settore dell’industria pesante in Italia. Il presidente della Repubblica Napolitano e il premier Monti si sono detti d’accordo sul fatto che, in caso di necessità, l'Esecutivo prenda provvedimenti nel Consiglio dei Ministri convocato per il 29 novembre. Il Ministro dell’Ambiente Clini confida che nello stesso giorno si possa arrivare a un accordo durante l’incontro a Palazzo Chigi con l’azienda, posizione condivisa dal presidente dell’Ilva Ferrante.

Giorgio Santini, segretario confederale della Cisl, si aspetta un decreto che vincoli l’azienda al rispetto di tutte le bonifiche e degli interventi contro l’inquinamento e la nocività ambientale, dando garanzia alla Magistratura che questi interventi siano realmente effettuati, tenendo aperti gli impianti. Con gli impianti chiusi, infatti, “non si fa alcuna bonifica, perché non c’è la possibilità concreta di dare agli investimenti l’operatività e l'effettività” (Radio Vaticana, 27 novembre).

A rischio non è solo il posto di lavoro degli 11.000 addetti che lavorano a Taranto, ma anche la credibilità dell’industria siderurgica italiana. Il punto di partenza, ha spiegato Lorenzo Caselli, economista e docente all'Università di Genova di etica economica e responsabilità sociale delle imprese, sono due legittime esigenze in conflitto tra di loro: da una parte la necessità del lavoro e dello sviluppo industriale italiano, dall'altra il diritto alla tutela dell’ambiente, alla salute e alla sicurezza. A suo avviso, la chiusura dello stabilimento non risolve affatto il problema ambientale, anzi lo aggrava, lasciando “un mostro sonnacchioso che continua a produrre effetti nocivi per l’ambiente senza più alcun intervento” (Agenzia Sir, 27 novembre).

Ciò che sorprende, per il dirigente d'azienda e docente di Economia Gian Maria Gros-Pietro, è che i presidi pubblici a carico della collettività con il compito di verificare la regolarità con cui si svolgono le attività produttive non abbiano funzionato “per anni”, non emettendo segnali di allarme che avrebbero permesso un adeguamento nel tempo (Il Sussidiario.net, 23 novembre).

In questo contesto, ha rilevato Caselli, è necessario un intervento deciso del Governo per “consentire una seppur limitata attività dello stabilimento e al tempo stesso continuare con quelle operazioni previste dall’autorizzazione integrativa ambientale per il risanamento”. Non è un'ingerenza indebita dello Stato nel mercato, perché si tratta di una questione nazionale dalla quale dipende il futuro industriale dell'Italia, visto che il nostro Paese è il secondo produttore in Europa dopo la Germania e Taranto è il più grande stabilimento siderurgico europeo.

Emanuele Ferro, direttore del settimanale della diocesi di Taranto “Nuovo Dialogo”, chiede all'Ilva “di non ricattare più Taranto ma di aprirsi a soluzioni, anche a sacrifici economici, e che si adoperi per il benessere di questa città alla quale tanto deve” (Agenzia Sir, 27 novembre).

La Chiesa, in tutto ciò, “non perde la fiducia, invoca le buone coscienze ad adoperarsi, a spendersi non perché lo stabilimento rimanga aperto a qualsiasi costo, tantomeno quello della vita, della salute, ma perché gli obiettivi della tutela dei diritti siano il frutto di un processo di conversione”. Nel periodo dell'Avvento, la parola “conversione” è ancora più appropriata, così come “attesa”, quell'attesa che “non può essere nuovamente tradita”.

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