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Quali lingue parlava Gesù?

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Mirko Testa - Aleteia - pubblicato il 02/09/12
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Quale grado di istruzione poteva avere il figlio di un falegname nato in un “insignificante” villaggio della Galilea?1) Nel parlare con i discepoli e con la gente comune, Gesù ricorreva frequentemente a un dialetto galileo-aramaico, la sua lingua materna.

Educato nella fede ebraica e cresciuto in una famiglia giudea della Galilea, Gesù parlava abitualmente in aramaico, la lingua semitica impiegata dai giudei dopo l’esilio babilonese (586-538 a.C.). In questo periodo l’aramaico era una lingua internazionale, comune tra i diversi popoli del Medio Oriente. Colta e popolare allo stesso tempo, usata nei diversi paesi sottoposti al dominio babilonese, si impose quindi anche tra le popolazioni del Vicino Oriente: Siria, Israele, Samaria, Giudea. Molto probabilmente, però, la sua era una versione dell’aramaico occidentale tipica della Galilea e diversa per esempio dall’aramaico che si parlava a Gerusalemme. Tanto che nel racconto del rinnegamento di Gesù da parte di Pietro, sarà proprio questa la ragione che smaschererà l’apostolo: “E’ vero: anche tu sei uno dei discepoli di Gesù il galileo. Infatti il tuo modo di parlare ti tradisce” (Mt 26,73).

Spesso gli scrittori sacri nel tentativo di rendere il fascino, la forza, l’impressione delle parole uscite dalle labbra di Gesù, pur redigendo il Nuovo Testamento in greco, fecero in modo di lasciare alcune espressioni nella loro immediatezza originaria, così come venivano tramandate dalla prima comunità cristiana.

Uno studioso, Joachim Jeremias, escludendo nomi propri e aggettivi, conta 26 parole aramaiche attribuite a Gesù dai Vangeli o da fonti rabbiniche, come ad esempio: abba’, “babbo, papà”, rivolto da Gesù a Dio (Mc 14,36); o come nella frase del Padre Nostro “Rimetti a noi i nostri debiti” che, sebbene sia presentata in greco con il termine ofeilémata, mostra chiaramente il suo sostrato aramaico, secondo cui “debito” (hoba’) significa anche “peccato”; o ancora talità kum, “fanciulla, alzati!”, rivolto alla figlia morta di Giairo (Mc 5,41), il capo della Sinagoga di Cafarnao; o l’effatà, “sii aperto!”, indirizzato a un sordo (Mc 7,34); fino alla citazione del Salmo 22, nel grido lanciato in Croce: Eloì, Eloì, lemà sabactàni, “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34).

A stento, tuttavia, riusciamo a ricostruire l’aramaico parlato da Gesù, e che solo in via ipotetica può essere comparato con l’aramaico parlato oggi in alcuni villaggi della Siria meridionale, nei pressi di Damasco, in particolare a Malula.

2) Può avere usato in parte l’ebraico nelle controversie teologiche con gli scribi e i farisei.

E’ noto che dopo l’esilio babilonese del Regno di Giuda (586 a.C.), l’ebraico subì un notevole declino fino ad essere rimpiazzato nell’uso comune dall’aramaico, sopravvivendo però come lingua scritta e liturgica. Ne è riprova il fatto che in Sinagoga, l’approfondimento delle Scritture era affidato ai targumìm, cioè a traduzioni-parafrasi della Bibbia ebraica in lingua aramaica.

Nel volume “Questioni di fede” il cardinale Gianfranco Ravasi ricorda che al tempo di Gesù “l’ebraico […] era una lingua colta, usata nelle discussioni esegetico-teologiche e dai gruppi elitari di Ebrei rigorosi e zelanti, come appunto quelli di Qumran”. E infatti sfogliando i Vangeli troviamo spesso Gesù nell’atto di insegnare nelle Sinagoghe, mentre gli stessi scribi e dottori della Legge lo chiamano con il titolo di “rabbì”, che significa “maestro”.

Il quarto Vangelo riporta lo stupore dei giudei, in occasione della festa delle Capanne, di fronte alla cultura religiosa di Gesù: “Come mai costui conosce le Scritture, senza essere stato a scuola?” (Gv 7,15). Gli uditori si meravigliavano della conoscenza teologica di Cristo, nonostante non avesse mai frequentato un rabbì famoso o una scuola rabbinica. Quasi sicuramente Gesù aveva, infatti, frequentato solo le scuole sinagogali per l’apprendimento della lettura delle Scritture.

3) Aveva inoltre una certa conoscenza del greco, diffusa fra gli ebrei e i popoli vicini dopo le conquiste di Alessandro il Macedone.

 

Ai tempi di Gesù, il greco veniva impiegato nell’Impero romano come lingua franca, un po’ come per l’inglese oggi. Inoltre, da quando Alessandro Magno aveva conquistato la Palestina nel 332 a.C., la lingua greca si era imposta sempre più diffusamente. A questo proposito il cardinale Ravasi nel volume “Chi sei Signore?” scrive che “anche gli ebrei, nonostante la reazione dei Maccabei, arroccati a tutela della lingua e delle tradizioni dei padri, furono progressivamente costretti a usarlo”. A Gerusalemme, era conosciuto dalle classi alte soprattutto per le transazioni commerciali e il popolo ne faceva uso solo quando si trattava di comunicare con i “gentili”, ovvero con gli stranieri presenti in Terra Santa.

Nel volume “Questioni di fede”, Ravasi osserva ancora che “è probabile, quindi, che anche Gesù usasse un po’ di greco – la lingua che sarà poi adottata dai Vangeli e da Paolo per una comunicazione più universale – quando aveva contatti con non-ebrei e forse durante il dialogo processuale con Pilato” (Matteo 27,11-14; Giovanni 18,33-38). Come ricorda anche Alan Millard nel suo volume “Archeologia e vangeli”: “nell’attività quotidiana, i governatori romani parlavano certamente in greco”. E il Vangelo di Matteo ci racconta poi del dialogo senza interprete tra Gesù e un centurione romano (Matteo 8,5-13), che quasi certamente parlava in greco. La sua conoscenza ridotta del greco poteva essere dovuta anche ai contatti con ebrei della Diaspora in visita a Gerusalemme come testimoniato in Gv 12,20 e At 6,1-15.

Secondo quanto osservato da John P. Meyer nel primo volume dell’opera “Un ebreo marginale”, “né la sua occupazione di falegname a Nazaret, né il suo itinerario in Galilea, circoscritto a città e villaggi decisamente giudaici, avrebbero richiesto scioltezza e regolarità dell’uso del greco. Così non c’è ragione per pensare che Gesù insegnasse regolarmente in greco alle folle che si riunivano attorno a lui”. E’ vero allo stesso tempo che la sua predicazione non si limitò alla Galilea, alla Giudea e alla Samaria ma si spinse fino alle regioni limitrofe di Tiro e Sidone, attraverso la Fenicia e nel territorio della Decapoli, tutte zone fortemente ellenizzate. E a questo proposito torna alla mente l’episodio della guarigione della figlia di una donna siro-fenicia, o cananea, posseduta dal demonio (Mc 7,26-30).

4) Non c’è ragione di pensare, invece, che sapesse il latino, la lingua allora impiegata quasi esclusivamente dalle forze di occupazione romane.

Nella Palestina del I sec. il latino era la lingua utilizzata dai funzionari e dagli ufficiali romani di stanza a Cesarea Marittima e nei centri maggiori come Gerusalemme e Samaria e soprattutto la lingua impiegata nel redigere i documenti ufficiali dell’Impero romano. Un riflesso della sua diffusione si trova nel titulus, ovvero nell’iscrizione che sormontava la croce su cui venne inchiodato Gesù e che riportava la motivazione della condanna. La scritta, secondo quanto ci riferisce Giovanni, era infatti in ebraico, latino e greco (“Gesù Nazareno, re dei Giudei”). Quindi, è da escludere che Gesù potesse conoscere il latino.

 

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Testo rivisto da mons. Gabriele Miola, docente emerito di Sacra Scrittura e Lingue Bibliche a Fermo presso l’Istituto Teologico Marchigiano e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “SS. Alessandro e Filippo”, autore di “Che lingua parlava Gesù?” in “Storia di Gesù Rizzoli”.

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